Scritture Le forme di comunicazione
4 Altre scritture asiatiche
2. I sistemi indiani
Lo pseudo-alfabeto indiano
I rapporti tra India e Vicino Oriente pongono molti problemi di carattere antropologico, perché l’acquisizione della scrittura, nel mondo indiano, fu il risultato di una profonda rielaborazione dei principi organizzativi sviluppatisi durante la lunga storia delle scritture semitiche.
L’innovazioneione dei sistemi indiani consistette nel rappresentare esplicitamente le vocali: ogni segno consonantico ‘puro’ rappresenta sempre, implicitamente, la vocale ‘a’; tutte le altre vocali sono trascritte con l’aggiunta alle consonanti di specifici segni diacritici.
Questo ‘pseudo-alfabeto’, o ‘alfabeto sillabico’, ha però un altro aspetto originale, legato alla struttura della notazione grafica. Nel sistema “alfabetico” semitico-fenicio, infatti, i rapporti tra le lettere sono in un certo senso meccanici, ed esse hanno sempre la stessa forma, in qualunque posizione siano; mentre nelle scritture indiane la successione dei segni grafici è strettamente legata ai suoni rappresentati.
La scrittura. i suoni e la razionalità
Lo studio fonetico del sanscrito era già anticamente molto approfondito, e tutti i suoni della lingua erano stati rigorosamente inquadrati, secondo le articoiazioni del sistema vocale e procedendo dall’interno della bocca verso l’esterno, in un razionale schema unitario che comincia con le vocali primarie per finite con le consonanti sibilanti (passando per le vocali secondarie, la nasalizzazione e l’aspirazione aggiunte alle vocali, le consonanti occlusive, le nasali, le semivocali e le vibranti).
Nel sistema grafico, quindi, c’è una corrispondenza con queste conoscenze fonetiche: quando a una consonante, ad esempio, non siano aggiunte le specificazioni vocaliche, la presenza o l’assenza della ‘a’ implicita viene segnalata dalla presenza o dall’assenza di legature tra le lettere.
Scrivere i segni per ‘k’ e ‘l’ senza legarli tra loto significa che si trascrive il suono ‘kala’; mentre la legatura tra le due consonanti indica la lettura ‘kla’.
Poiché i tratti grafici non sempre possono essere chiari, inoltre, è stato creato un altro segno particolare che indica esplicitamente l’assenza della ‘a’ implicita.
Ancora oralità e scrittura
Secondo i sostenitori del “primato dell’oralità”, a ogni segno scritto della lingua corrisponde sempre un suono, un segno parlato; mentre non è necessariamente vero il contrario (che a ogni suono corrisponda un segno scritto).
Ma se analizziamo meglio il modo in cui i sistemi di scrittura formano i messaggi che debbono esser letti, possiamo forse ribaltare questa affermazione.
Nella scrittura tibetana, ad esempio, gli elementi grafici che compongono una singola sillaba sono organizzati secondo uno schema molto rigido, in base al quale un segno (o un gruppo di segni) può essere aggregato in vari modi al carattere principale: i segni aggiunti a una consonante possono quindi stare sopra, sotto, prima o dopo, o addirittura altri segni possono essere ancora addizionati a quelli già aggiunti.
In questo caso il riconoscimento grafico e visivo è alla base della successiva comprensione fonetica, del riconoscimento cioè del suono rappresentato: un lettore tibetano che sia oggi incapace di leggere ad alta voce un testo antico nella pronuncia classica potrà egualmente capirlo attraverso la sua forma grafica, che ha tutte le informazioni grammaticali per la comprensione del testo stesso.
Esempi come questo mostrano quindi che la comprensione di un testo può essere assicurata proprio dal fatto che a ogni suono corrisponda un segno, anche se il suono è andato nel frattempo perduto.
La verità sta nel mezzo: oralità e scrittura costituiscono due universi comunicativi in rapporto tra di loro, ma ciascuno dotato di specifici procedimenti di generazione e di interpretazione.
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