Scritture Le forme di comunicazione
Dal Vicino Oriente al Vecchio Mondo
2. Nascita e sviluppo degli alfabeti
La disputa infinita
Gli scavi archeologici hanno fatto emergere, dall’insieme di culture di lingua semitica, forme di scrittura eterogenee e di difficile datazione che potrebbero tutte, a giusto titolo, reclamare lo statuto di antenate
dell’alfabeto: la pseudogeroglifica di Biblo, la protocananea, la prorosinaitica.
Ma si trattava di sillabari o di proto-alfabeti? E con che diritto si può parlare ancora di un solo alfabeto originario?
Alfabeti o sillabari
La tesi ‘ellenofila’ – ancora la più accreditata e nota – ricostruisce lo scenario in questo modo: stretti tra influssi egiziani e accadici, i popoli semitici all’alba del 2000 a.C. hanno creato segni pittografici prendendo forse a modello i geroglifici egizi, ma utilizzandoli per il loro valore fonetica (un procedimento già presente nella scrittura geroglifica), con un senso di lettura all’inizio variabile, poi (dall’VIII sec. a.C.), stabilizzatosi da destra a sinistra, come l’arabo e l’ebraico moderni.
Cosi il segno pittografico per ‘casa’ fu usato in origine per notare la parola semitica bêth, che in seguito divenne il nome della lettera; il segno finì quindi per trascrivere la sola consonante iniziale ‘b’.
Nell’elenco dei segni – il cui numero oscillava tra i 22 e i 30 – non comparivano però le vocali; queste venivano individuate soltanto attraverso il contesto.
Quello semitico sarebbe quindi un sistema sillabico, anche se ben diverso dal vicino cuneiforme, che aveva un numero di segni quattro volte superiore.
Chi ha inventato l’alfabeto?
Così, risospinte le scritture semitiche fra i sillabari, la palma di autori della ‘grande invenzione’ dell’alfabeto verrebbe attribuita ai Greci, che dai Fenici ereditarono solo una griglia di segni preformata cui diedero nuova vita.
La struttura delle lingue semitiche, in realtà, era molto diversa da quella della lingua greca: lo ‘scheletro’ delle consonanti forniva il concetto e le vocali avevano solo funzione grammaticale (flessioni verbale e nominale).
Si può quindi sostenere che le scritture semitiche avessero già implicito il sistema alfabetico (un grafema = un fonema), ma che l’indicazione delle vocali, aggiunte meccanicamente nel processo di lettura, fosse di conseguenza non necessaria.
In tal modo ai Fenici – ma ancor prima di essi ai Cananei e a tutte le etnie che svilupparono forme consonantiche mediorientali – tornerebbe la paternità della ‘grande invenzione’.
Da un punto di vista metodologico non è infatti possibile affermare che la consonante delle scritture semitiche fosse un elemento irrilevante e che solo l’astrazione resa possibile dall’alfabeto greco avrebbe creato i presupposti per ‘staccarla’ dal resto della sillaba, quando non si conoscono le pratiche di lettura di culture così lontane e di sistemi di segni ormai perduti nella loro forma originaria.
La tesi filo-occidentale ci fa erroneamente credere che l’alfabeto (spesso saltando il modello greco e privilegiando gli sviluppi latini) sia solo uno, ignorando la molteplicità di tentativi orientali che l’hanno preceduto e le varianti (occidentali e orientali) che l’hanno seguito.
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