Scritture Le forme di comunicazione
Dal Vicino Oriente al Vecchio Mondo
3. Le scritture egee e quella greca
Lineare A e Lineare B
L’archeologo inglese Arthur Evans, attorno all’anno 1900, trovò prove di una scrittura pittografica nei suoi scavi sull’isola di Creta.
Tra i resti di una civiltà pre-classica, da lui chiamata minoica, erano emersi più di trenta sigilli in pietra recanti segni figurativi che una superficiale somiglianza con quelli egiziani lo indusse a definire ‘geroglifici cretesi’.
Ma, accanto a questi reperti, furono rinvenute due altre forme cli scrittura.
La più antica, chiaramente sillabica, chiamata da Evans lineare A, era composta da circa 60 caratteri fonetici, più altrettanti segni ideografici, e utilizzava una numerazione decimale; poteva essere considerata il risultato di una rielaborazione e semplificazione del sistema presente sui sigilli.
La seconda varietà, la lineare B, era anch’essa sillabica (a un sillabario di 59 segni si aggiungeva una gran quantità di ideogrammi che rappresentavano i beni di cui si regístrava l’ingresso nei palazzi) ed era senza dubbio un’evoluzione della lineare A, poiché circa la metà dei segni erano simili.
L’equivoco di Evans
Il mistero rninoico sembrava disporre di una soluzione a portata di mano.
Infatti, non lontano da Creta, a Cipro, e in un periodo compreso tra il VII e il II secolo a.C., si era sviluppato un sistema sillabico che aveva molti punti in comune con la lineare B ed era stato decifrato sin dalla fine dell’Ottocento.
Trascriveva un dialetto greco dell’isola e la sua presenza in molte iscrizioni bilingui accanto all’alfabeto greco classico aveva consentito agli studiosi di ricostruirne la struttura, attribuendo valori definitivi ai singoli segni.
Evans tentò di attribuire ai segni della lineare B simili a quelli del cipriota il valore fonetica di quest’ultimo; scarto però questa interessante pista perché andava contro le sue convinzioni: l’archeologo inglese infatti riteneva impossibile che i Minoici parlassero una forma sia pur arcaica di greco.
Tornò invece a dedicarsi alla ricerca di radici pittografiche (in segni di scritture che pure ubbidivano a principi del tutto differenti) e giunse addirittura a credere che le forme pittografico-geroglifiche cretesi potessero essere successive elaborazioni delle due lineari.
La scoperta del disco di Festo nel 1908 – la prima documentazione assoluta di un processo ‘tipografico’ – attrasse infatti subito il suo interesse, poiché quei segni rappresentavano in modo riconoscibile esseri umani, patti del corpo, oggetti e piante. Ma da soli 241 segni ordinabili in un inventario di 45 tipi non ci si poteva attendere molto.
Questo oggetto risalente al 1700 a.C. continua ad essere uno dei grandi enigmi irrisolti nella storia della decifrazione.
Kober, Ventris e la decifrazione della lineare B
Quando Evans morì, molto del materiale da lui raccolto venne pubblicato e fu possibile realizzare la più importante decifrazione del nostro secolo: quella della lineare B, ad opera di Alice Kober e poi di Michael Ventris.
I due studiosi lavorarono sull’ipotesi che la lineare B trascrivesse una lingua diversa da quella della A, poiché si trattava di una lingua con declinazioni; quindi ricostruirono, in base alla distribuzione dei segni nei paradigmi di flessione possibili valori fonici da assegnare a ciascuno di essi.
Ventris in particolare creò delle originali griglie sperimentali e perfezionò il proprio lavoro, fino a convincersi che, a differenza dell’ancor oggi indecifrata lineare A, i testi della lineare B erano scritti in una varietà di greco arcaico e i Micenei erano presenti a Creta sin dalla metà del secondo millennio a.C.
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