Scritture Le forme di comunicazione

 

10 Scritture artificiali e inventate

4. La scrittura universale oggi

 

Un mondo di icone simboli
La nostra cultura è tornata a dipendere in misura crescente dalla raffigurazione, che sembra rendere meno necessaria la parola scritta: al cinema si è aggiunta la televisione, e alla televisione il computer, che ha rivoluzionato il mondo dello scrivere e ha introdotto il linguaggio delle “icone”, in qualche modo (insieme ai tanti simboli oggi diffusi, come la segnaletica) di nuovo un tentativo di scrittura universale.

 

La rivoluzione inavertita
L’introduzione e la diffusione della stampa (‘la rivoluzione inavertita’, come l’ha definita la studiosa americana Elizabeth Eisenstein) hanno modificato profondamente molti aspetti della nostra cultura: il testo stampato (l’occhio e i meccanismi della percezione visiva) ha preso il sopravvento sull’oralità (l’orecchio e l’udito).
Il manoscritto, per quello che si è definito il suo aspetto sintetico (la rappresentazione di tutta la complessa e individuale attività dello scrivere, ogni volta riproposta) richiedeva una più completa partecipazione da parte del lettore, sollecitato all’intervento attivo; mentre il libro tìpografico, per il suo aspetto analitico (la riproposizione di modelli meccanici sempre simili), restringe in qualche modo lo spazio del lettore e lo rende più passivo.
La tipografia, d’altra parte, ha contribuito all’evoluzione del pensiero scientifico, della tecnologia e di tutto il nostro mondo moderno (non solo per la replicabilità e per la diffusione, ma proprio per le sue caratteristiche analitiche che hanno consentito, ad esempio, di sviluppare le tavole numeriche indispensabili all’impresa scientifica).

Vento e Albero, scritture inventate da bambini di quinta elementare (Scuola Luigi Settembrini e Biblioteca Rispoli, Roma 1982)

Vento e Albero, scritture inventate da bambini di quinta elementare (Scuola Luigi Settembrini e Biblioteca Rispoli, Roma 1982)

Una nuova utopia?
Ma il testo elettronico, quello che corre sulle reti informatiche, diventa anche sempre più legato alle icone, i simboli figurativi che si moltiplicano nei messaggi e nelle interfacce.
L’impasto di icone, simboli, caratteri, foto e disegni che transitano per tutto il pianeta prefigura quasi la promessa che sia possibile un linguaggio figurato di comunicazione universale, una nuova ‘scrittura perfetta’.
Non basta però che questo impasto sia diffuso, perché venga capito.
La promessa di comunicazioni più facili coinvolge milioni di persone e merita dunque attenzione; si tratta però di un obiettivo irraggiungibile, perché sottrae alla scrittura la caratteristica fondamentale di rappresentare un linguaggio del quale è espressione.
Il rischio è che tutti, servendosi apparentemente dello stesso sistema, scrivano pur non capendosi (e non capendo neanche il sistema usato).
Un’analisi più attenta del linguaggio delle icone ne mostra infatti ilimiti: trattandosi di segni convenzionali, esse vanno di volta in volta apprese e memorizzate.
È sempre illusoria e sbagliata la pretesa che un’immagine, per quanto raffigurativa possa essere, sia naturalmente e immediatamente comprensibile in sé.
L”iconizzazione’ spesso complica la comunicazione piuttosto che facilirarla, perché comunque le icone vanno ritradotte dall’utente nella propria lingua, e l’uso del computer rischia di richiedere una ‘competenza iconografica’ sempre più spinta e specializzata.
Questa moltiplicazione, in realtà, ha una sua ragione economica: concentrare le informazioni nelle icone significa ridurre l’esigenza di tradurle in molte lingue (esigenza già in parte assolta dal diffondersi di un inglese semplificato internazionale che sembra stia diventando la nuova lingua franca).
Icone e simboli sono sempre tradotti nel linguaggio, si è detto; è più facile, ad esempio, memorizzare i comandi ‘da tastiera’ se si associa, al tasto relativo a una funzione, la parola inglese della quale la lettera riprodotta sul tasto è l’iniziale (P per print, “stampa”, S per save, ‘salva’ ecc. ).

 

La scrittura elettronica
Il computer, frutto di questa evoluzione, porta apparentemente un’ultetiore chiusura, perché la relativa tecnologia è fuori da qualunque controllo da parte dell’utente medio.
D’altra parte, l’immaterialità della scrittura elettronica consente un rapporto più diretto, per quanto ancora poco esplorato, tra chi scrive al computer e il testo che rappresenta il flusso dei suoi pensieri, che può essere (almeno in teoria) modellato a piacere per tutte le possibilità date di ripensamento, di ‘copia e incolla’, di modificazione dei caratteri e delle dimensioni.
Le qualità visive e spaziali, tipiche della scrittura nei confronti dell’espressione verbale (che rimane sempre lineare e monodimensionale nel suo svolgersi nel tempo), tornano così in primo piano.

 

Capire meglio
Si ritorna quindi all’esigenza fondamentale, che è quella dell’alfabetizzazione; la presunzione di poter prescindere dalla scrittura e di poterla eludere, per mezzo di ipotetiche comunicazioni universali fatte di figure, non fa che prefigurare una crudele divaricazione tra la minoranza di alfabetizzati che produce i messaggi e la moltitudine di analfabeti che li subiscono.
È auspicabile, invece, che i fatti della comunicazione possano essere capiti meglio e che scrittura e linguaggio verbale siano riconosciuti come espressioni diverse, ciascuna con proprie funzioni e caratteristiche.
Ci si accorgerà allora che la scrittura e dovunque e può essere usata in modo più ricco e che non serve solo a trascrivere un pensiero già formato, ma può essere lo strumento per dare forma a pensieri nuovi, più aperti e più vasti.
La scrittura, per dirla con le parole del linguista inglese Roy Harris, diventerà, come forse è sempre stata, il “processo creativo essenziale, mentre il linguaggio parlato sarà un semplice commento orale a ciò che la scrittura ha creato”.

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