Scritture Le forme di comunicazione

 

10 Scritture artificiali e inventate

2. La storia e l’invenzione

 

L’interpretazione aberrante
Le scritture cifrate e combinatorie talvolta comportavano la costruzione di segni particolari, appositamente inventati o adattati; ma più spesso utilizzavano un repertorio di elementi già esistente, come quello alfabetico, modificandone arbitrariamente l’interpretazione e la sintassi alla ricerca di un’illusoria perfezione.
Ma in questa ricerca della perfezione e di un ordine superiore di tipo mistico, la magia finisce per sostituire la pratica razionale e quotidiana dello scrivere.
Rientrano in questo quadro le fantasiose interpretazioni che gli affascinati europei facevano della scrittura geroglifica e di quella cinese, adattate a forza a idee generali preconcette piuttosto che studiate per quello che erano.

 

Kircher, l’egittologo
Il campione di questo atteggiamento disinvolto, nel XVII secolo, è il gesuita Athanasius Kircher, che costruisce tutta un’egittologia fantastica, basata sulla propria personale idea dei geroglifici (arricchita dal confronto con tutte le culture orientali e addirittura con quelle mesoamerìcane).
Nelle sue opere, comunque, Kircher riproduce i documenti in modo piuttosto fedele, tanto che Champollion, quasi duecento anni dopo, arriva a decifrare alcuni testi geroglifici proprio sulla base dei suoi disegni.

 

Pagina dell'Oedipus Aegyptiacus (1652-54) in cui Athanasius Kircher ricostruisce un fantasioso alfabeto che dalla forma di 21 geroglifici deriva, per successive astrazioni, le lettere alfabetiche. La prima lettera dello schema (la alfa nella sua forma maiuscola A) è il risultato dell'astrazione a partite da un 'carattere zoografico', un ibis che piega il collo sino a introdurre la testa fra le zampe: queste ultime costituiscono i due tratti obliqui della futura lettera, mentre il becco stesso ha la funzione di trattino orizzontale. Collez. privata; foto S. Femia

Pagina dell’Oedipus Aegyptiacus (1652-54) in cui Athanasius Kircher ricostruisce un fantasioso alfabeto che dalla forma di 21 geroglifici deriva, per successive astrazioni, le lettere alfabetiche. La prima lettera dello schema (la alfa nella sua forma maiuscola A) è il risultato dell’astrazione a partite da un ‘carattere zoografico’, un ibis che piega il collo sino a introdurre la testa fra le zampe: queste ultime costituiscono i due tratti obliqui della futura lettera, mentre il becco stesso ha la funzione di trattino orizzontale.
Collez. privata; foto S. Femia

Particolare di una tavola di Kircher. I numeri rimandano alle sue immaginifiche interpretazioni dei geroglifici. Collez. privata; foto S. Femia

Particolare di una tavola di Kircher. I numeri rimandano alle sue immaginifiche interpretazioni dei geroglifici.
Collez. privata; foto S. Femia

 

 

Tavola tratta da Alphabeti veri naturalis Hebraici brevissima delineatio di Mercurius Van Helmont (Brevissima descrizione del vero alfabeto naturale ebraico, 1667), con le corrispondenze tra articolazione fonetica e forma delle lettere. Collez. privata; foto S. Femia

Tavola tratta da Alphabeti veri naturalis Hebraici brevissima delineatio di Mercurius Van Helmont (Brevissima descrizione del vero alfabeto naturale ebraico, 1667), con le corrispondenze tra articolazione fonetica e forma delle lettere.
Collez. privata; foto S. Femia

L’alfabeto degli angeli
La fiducia in un valore assoluto della scrittura assume, per un altro erudito del XVII secolo, aspetti ancora più suggestivi.
Mercurius van Helmont, che studiava un modo per insegnare a parlare ai sordomuti, credeva di riconoscere nella forma delle lettere dell’ebraico (ritenuto l’alfabeto originario, già presente nel paradiso terrestre) le posizioni assunte dalla bocca per produrre i suoni corrispondenti.
Le lettere stesse, quindi, sarebbero state rappresentazioni dirette della realtà, prima ancora di essere organizzate per rappresentare il linguaggio.
L’idea che una scrittura potesse essere compresa senza dover essere collegata a una lingua era comune tra questi studiosi: speculando su quali fossero stati i caratteri originari, essi ripetevano spesso la formula ab angelis traditur dicunt, ‘si dice che siano stati rivelati dagli angeli’.
Quale fosse il linguaggio degli angeli non veniva però detto.

 

 

 

 

Incisione da Hipnerotomachia Polyphili di Francesco Colonna (Lotta di Polifilo tra sonno e amore, 1499), con quello che sarà l'obelisco di piazza della Minerva a Roma.

Incisione da Hipnerotomachia Polyphili di Francesco Colonna (Lotta di Polifilo tra sonno e amore, 1499), con quello che sarà l’obelisco di piazza della Minerva a Roma.

La ‘preveggenza’ di Colonna
Tutte le strade portano alla scrittura.
In un celebre e curioso libro stampato nel 1499,
l’Hipnerotomachia Polyphili di Francesco Colonna, era inserita un’incisione che raffigurava un monumento ideale, in cui si vedeva un obelisco di pura invenzione portato in groppa da un elefante.
Più di centocinquant’anni dopo, nel 1667, Gian Lorenzo Bernini fece diventare reale quell’immagine, ideando il basamento a forma di elefante che si trova ancora oggi in piazza della Minerva a Roma, sul quale fu collocato un vero obelisco egizio del VI secolo a.C., completo di veri geroglifici.
L’epigrafe dettata dal papa del tempo, Alessandro VII, faceva riferimento alla leggenda dei geroglifici: “Chiunque tu sia, che vedi sull’obelisco le incise figurazioni del saggio Egitto portate da un elefante, la più forte delle fiere, intendi l’ammonimento: che è proprio di una mente robusta sostenere una solida sapienza”.

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