Atti del convegno Le Genti di Monte Claro • Dal Neolitico al Ventunesimo secolo
Rossana Martorelli
Considerazioni sull’ubicazione della Villa Santae Mariae de Claro
La chiesa viene ricordata nei documenti antichi e moderni in diversi modi, come Santa Maria de Monte Clar0, Santa Maria de Clara, o Santa Maria Clara, ma ancora molta oscurità avvolge le vicende di tale edificio, che una ben radicata tradizione cagliaritana – come si è già ricordato ripercorrendo la storia degli studi sull’argomento – vuole abitato da monaci cistercensi. Esaminando i dati desumibili dalle testimonianze citate si possono evidenziare alcuni importanti elementi.
Fin dagli inizi del XIV secolo, dunque, esisteva una villa Santa Maria de Claro. ll sostantivo villa nell’accezione usata nei documenti sardi di età medievale solitamente indica un piccolo aggregato rurale [57], che talvolta riutilizzava strutture residenziali risalenti all’età antica. Quindi, doveva trattarsi di uno dei tanti piccoli insediamenti, che spesso traevano origine da villae romane ancora abitate nella tardantichità e nell’altomedioevo, sebbene con una connotaruralzione strutturale diversa, trasformandosi piuttosto in villaggi di modeste dimensioni, i cui abitanti erano prevalentemente coloni, che si occupavano di attività agro-pastorali [58]. Questi piccoli villaggi, in età altomedievale, venivano dotati di un luogo di culto, che costituiva il fulcro dell’abitato e talvolta fungeva essa stesso da polo aggregante [59]. La Sardegna è ricchissima di tali villaggi, che nell’altomedioevo e nel medioevo costituirono la forma più diffusa di popolamento del territorio e contribuirono alla capillare diffusione del cristianesimo nelle campagne [60]. Alfonso, re della Catalogna ed Aragona, aveva stabilito che gli abitanti delle ville godessero degli stessi diritti di quelli che dimoravano in Castello e che avessero ognuno il proprio salto per portare le bestie al pascolo [61].
Il Fara, invece, definiva quello che non doveva essere comunque più di un modesto agglomerato come un oppidum, nome che potrebbe indurre a pensare ad un villaggio in altura, delimitato da mura [62], ma è troppo poco per poter definire la fisionomia di questo insediamento.
Sebbene nei documenti non compaia espressamente il termine chiesa, non è ammissibile – comunque – che Santa Maria de Claro non fosse l’edificio di culto fulcro del villaggio, che da esso mutuava il nome stesso. Si tratta solitamente di piccole cappelle, ma molti studiosi ritengono di doverla mette in relazione con un insediamento cistercense, sulla base della presenza nel toponimo dell’aggettivo Clarus [63].
Il toponimo, infatti, o meglio l’agiotoponimo, in realtà deriva da un coronimo, ovvero dal nome della regione, mons Clarus, aggettivo che nella lingua latina veniva utilizzato in riferimento ad un luogo luminoso, oppure senza vegetazione, o forse – e questo poteva essere il caso in questione – ad un sito di colore chiaro, a causa della sua natura geologica: il colle è infatti in calcare bianco [64]. In Sardegna esiste anche il Monte Albo, di calcare chiaro, nella regione delle Baronie, che ugualmente deriva il nome dalla sua natura geologica.
Il toponimo de Claro è noto anche in altri luoghi della Sardegna: Sanctus Petrus de Claro, era una chiesa in planitie Arboree (nella pianura di Arborea), menzionata in un documento del 1131 conservato nell’Archivio di Torino, con cui Comita ll, giudice di Arborea, ne certificava la donazione alla cattedrale di Genova, San Lorenzo, e al Comune stesso. Si trattava di una curia con animali, servi e terreni, che contenevano le vene argentifere dell’area arborense [65]. Una Santa Maria Clara nell’encontrada de sa Trexenta (tra Aixi e Sisini) è nominata in un atto del 1219, quando il giudice Torchitorio faceva dono al figlio Salusio della Trexenta per celebrare il matrimonio con Adelasia; nel1’atto sono elencati tutti i luoghi, tra cui guturu o suguturu de santa maria clara [66].
Nessuno di questi, però, sembra legato ai monaci cistercensi, come vorrebbero diversi studiosi [67]. Dunque, bisogna piuttosto connettere il toponimo al luogo. Con il tempo, come attestano i documenti, dall’originario Santa Maria de Monte Claro (la dicitura completa), si è passati a Santa Maria de Claro, a Santa Maria Clara, fino all’attuale Santa Maria Chiara. Tale culto sopravvive nell’attuale Pirri, dove santa Maria è diventata santa Maria Chiara, a cui viene dedicata la festa principale del paese. Una via omonima parte dallo stesso caseggiato e conduce a Pirri, che custodisce il simulacro di Santa Maria Chiara [68].
Il riferimento toponomastico induce ad ubicare la villa con la sua chiesa molto vicino al Monte Claro. Tuttavia, un dato emerge con chiarezza dalle opere di chi ancora poteva vedere l’edificio: la villa, che aveva il suo fulcro attorno alla chiesetta, era a Nord della città, nei dintorni di essa, ma gli studiosi nell’ubicarla prendevano come riferimento, in realtà, il Colle di San Michele, riferendo che essa si trovava ai suoi piedi, dove era il castello omonimo, a 3 km a Nord di esso, fra questo e il monte Claro. Dunque, l’insediamento va ricercato sulle pendici del Colle di San Michele, fatto che potrebbe giustificare la definizione di oppidum data dal Fara [69], ovvero di agglomerato posto in posizione elevata (anche se di poco), ma evidentemente più vicino al Monte Claro, tanto da condizionarne il toponimo.
Esaminando la cartografia storica, si può notare che nella Carta dimostrativa de’contorni di Caliari, una rappresentazione molto dettagliata della città con i suoi dintorni, corredata di una legenda, anche se mutila in alcuni punti e talvolta con errori, elaborata localmente e verosimilmente per un uso privato, secondo gli studiosi nell’immediatezza dell’attacco francese del 1793, sono ubicate al n. 87 una Vigna di S. Domenico e al n. 85 una Vigna Villa Clara (fig. 1) [70]. Un’altra carta, la prima riproduzione topograficamente esatta dei dintorni della città, realizzata a scopo militare, forse in relazione con la presenza della corte sabauda, poiché è datata 25 agosto 1813, richiama la precedente.
Nella legenda l’autore del disegno (l’ufficiale piemontese Giuseppe Verani), scrive: n. 112 – “Vigna Villa Clara” N. 117 – “Vigna del Convento di S. Domenico” (fig. 2) [71].
Riprendendo il documento del 1442, già ricordato, in cui si dice che Antonio Pol lego alla cappella di San Pietro in San Domenico “molti censi e 25 possessioni site intorno alle chiese di Santa Maria Clara e San Nicolò di Vidrano, romitaggi uniti alla parrocchiale di Pirri” [72], sembra di poter trarre dalle due carte citate una conferma di questa situazione. Le vigne di proprieta della chiesa di San Domenico e le vigne di Villa Clara risultano confinanti fra loro e la vigna di Villa Clara si trovava sulle pendici del Colle di San Michele, ma molto prossima al Monte Claro.
A Cagliari è nota una Valle Clara, situata ai piedi del Monte Claro, fra questo e il colle di San Michele. Nel 1988, in essa rimanevano in piedi due caseggiati affacciati su una piccola corte, uniti da muri di recinzione, pericolanti, nascosti fra alberi e cataste di legname, macerie e immondizie. Uno di questi edifici è stato sempre identificato come una casa colonica, che avrebbe inglobato i ruderi della “cappella di Santa Maria Chiara” e percio è stato detto “ex cappella di Santa Chiara”, ma fu abbattuto nel 1991. Si trattava di una costruzione di modeste dimensioni, ad aula rettangolare con tetto a spiovente, portale arcuato e sovrastante finestra rettangolare; sul fianco destro, verso lo spigolo, si notava una piccola nicchia (fig. 3) [73].
Il sito corrisponde oggi sempre alle ultime propaggini del colle di San Michele e si affaccia sulla via Cadello. È evidente che, stando alle condizioni in cui versa attualmente tale settore, ai confini fra le municipalità di Cagliari e di Pirri, molto urbanizzato, è veramente difficile proporre sicure identificazioni: la zona è occupata, infatti, dalla casa di riposo per anziani delle suore Manzelliane, in via M. G. Cogoni (dotata di una cappellina, creata per portare la statua da quando la cappella precedente era ridotta in stato rovinoso) e da altri fabbricati.
Rimane libera una porzione di terreno rettangolare, nel quale era la distrutta casa, ma non sembrano esservi tracce.
Nel 1988, quando ancora si vedeva, l’area circostante era ingombra di macerie, ma si poteva riconoscere una via che conservava la traiettoria della strada antica detta strada di Santa Maria Chiara, che attraversava i terreni della valle, unendo in particolare il piccolo caseggiato, prossimo alle pendici del colle, con un grande cascinale agricolo in degrado, noto come cascinale Vinalcool, situato alla falde del colle del Monte Claro (fig. 4), che nel 1976 fu notificato come raro esempio di architettura rurale del XVIII secolo. Esso a sua volta include una cappella voltata a crociera ben più antica rispetto alle strutture edilizie soprastanti, che conserva particolari strutturali ed architettonici (tracce di archi, cantoni di pietra squadrati, modanature emergenti sotto intonaci sfaldati), che hanno fatto ipotizzare ad alcuni studiosi un’origine medievale [74].
Anche all’interno dell’attuale Villa Clara, complesso di costruzioni che accolgono l’Ospedale Psichiatrico, sono segnalati ambienti al pianterreno voltati a botte, con arconi che sembrano estranei allo stile dell’epoca in cui fu fatta la villa [75].
Sulla base di quanto esposto, si comprende come gli studiosi, che si sono impegnati nel cercare di riconoscere nelle poche e malmesse strutture le tracce dell’insediamento, siano convogliati fondamentalmente su tre ipotesi. Alcuni ritengono che gli ambienti voltati a botte al piano dell’edificio settecentesco, dove è la clinica psichiatrica, siano i resti del monastero cistercense [76]. Altri, invece, che siano da individuare nel complesso alle falde dello stesso colle; altri, infine, che la casa indicata tradizionalmente come “cappella di Santa Maria Chiara” conservasse i resti della chiesetta, fulcro del villaggio, e forse anche del monastero cistercense.
In conclusione, penso che si possa affermare con buona probabilità che la villa si estendesse sulle pendici del colle di San Michele, però molto più vicino al Monte Claro, tanto da mutuarne il nome, e ruotasse attorno ad una chiesetta di modeste dimensioni, dedicata al culto di Maria, come molte altre anche negli stessi dintorni della città [77].
Proprio in considerazione del fatto che numerose chiesette rurali entrarono nell’orbita di più grossi centri monastici, che attraverso le proprietà terriere controllavano l’economia del territorio, non è escluso che anche la villa di Santa Maria de Claro in età bizantina, poi giudicale e infine sotto i Pisani fosse di pertinenza di qualche monastero, prima di venire assegnata in feudo a Francisco di Sant Climent in epoca aragonese. I documenti disponibili, tuttavia, non forniscono alcuna precisa indicazione al riguardo.
Gli autori moderni insistono sulla presenza di una comunità cenobitica, che vogliono identificare in particolare come osservante la Regola Cistercense [78]. L’Ordine dei Cistercensi, fondato in Francia nel XII secolo, è di matrice benedettina, ma di quei cd. ordini Riformati, che a partire dal X secolo, seguendo l’esempio dell’Abbazia di Cluny, si distaccarono dalle case madri benedettine, in quanto non più perfettamente in accordo con il loro modo di operare e soprattutto di concepire la disciplina monastica [79]. In Sardegna i Cistercensi si insediarono a Sindia già nel 1149, quando vennero chiamati dal giudice di Torres Gonario II de Lacon, che di ritorno dalla Terra Santa aveva incontrato Bernardo di Chiaravalle, ma soprattutto nel Logudoru [80]. Nel 1205 il giudice di Torres Comita II fondò il monastero di Santa Maria de Padulis con monaci chiamati da Clara-vallem, quindi dell’ordine cistercense [81].
Per quanto riguarda l’area cagliaritana, invece, il documento più antico è conservato nell’Archivio Arcivescovile di Cagliari [82] e si data al 1236. Si tratta dell’atto di donazione della chiesa di San Pantaleone di Flumentepido, nella curatoria del Sigerro [83], ai frati Iacobo e Viniano dell’Ordine Cistercense dal conte Raniero de Bulgari e di sua moglie (entrambi pisani). Di tale chiesa non c’è più traccia, ma esiste una Santa Maria di Flumentepido (Carbonia), che nel 1236 venne donata dallo stesso conte al monaco cistercense Viniano di San Pantaleone [84].
Nella città di Cagliari, anzi per la precisione nella Villa sanctae Igiae o sanctae Ceciliae, la chiesa di Santa Maria di Cluso era dotata di una biblioteca dove si conservavano molti testi, fra cui alcuni libri dell’Ordine Cistercense. Si ritiene che attorno a questo edificio di culto ruotasse una schola per la preparazione degli ecclesiastici e dunque l’esistenza di tali libri potrebbe indicare la loro importanza nella formazione del clero [85]. Nonostante questo, non si ha notizia dalle fonti né dai monumenti di cenobi cistercensi nella città e nei suoi dintorni. L’attribuzione da parte di alcuni studiosi sembra scaturire, come si è già rilevato, dal voler individuare l’origine del toponimo villa de Claro da Clara-vallem, a sua volta derivato da Chiaravalle, quindi da Bernardo di Clairvaux, piuttosto che – come sopra suggerito – dalla vicinanza del Monte Claro [86].
Tornando invece indietro di un paio di secoli rispetto al primo documento citato in questo contributo, si conoscono diversi atti di donazione risalenti all’Xl secolo, che meritano una certa attenzione. Nell’ambito di una sorta di ”rilatinizzazione” della Chiesa Sarda, imposto dalla Chiesa di Roma, i giudici spesso si rivolgevano ai monaci perché introducessero nell’isola la “vera disciplina”. A poco a poco vennero inviati in Sardegna alcuni religiosi benedettini delle abbazie di Montecassino e di San Vittore di Marsiglia [87]. Questi ultimi, in particolare, si stanziarono nel Campidano e stabilirono la sede del priorato nella storica basilica di San Saturno, loro donata dai giudici, insieme ad altre proprietà terriere nella città e nei dintorni, fra cui Sancta Maria de vineis, concordemente localizzata nell’area dell’attuale Pirri [88]. Se l’ubicazione proposta è esatta, non si può escludere che si tratti dello stesso edificio, dedicato a Santa Maria, entrato dapprima nei possedimenti dei monaci Vittorini. Dopo la loro partita dall’isola, nel XIII secolo, potrebbe essere entrato nella sfera di un altro ordine monastico, forse quegli stessi Benedettini, che a Cagliari già nel XII avevano il convento femminile di Santa Margherita, i cenobi maschili di San Giuliano de salinis e di San Bartolomeo [89].
Sulla base della cartografia e dei dati acquisiti, ribadisco dunque che – a mio parere – l’insediamento doveva trovarsi nell’area ad Ovest di via Cadello, all’altezza di via Cogoni, dove era la cd. “ex cappella di Santa Chiara”, che poteva veramente contenere gli ormai esigui resti della chiesetta originaria. Non escluderei l’eventualità di una presenza monastica, anche temporanea, ma non sembra vi siano al momento sicure prove per sostenere la presenza di monaci dell’Ordine Cistercense. La proposta di Contu, che ritiene di non poter escludere che le strutture dislocate sulle falde del Monte Claro costituissero insieme alla suddetta ex cappella di Santa Chiara un complesso unico, di natura monastica [90], sebbene molto suggestiva e non da rifiutare a priori, mi pare un po’ improbabile per la distanza che le separa.
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