Atti del convegno Le Genti di Monte Claro • Dal Neolitico al Ventunesimo secolo

 
 
Giovanna Deidda

La vigna di Pirri e le attività del conte Federico Mossa attraverso le carte dell’Archivio di Stato di Cagliari

 

Fra le Genti di Monte Claro bisogna annoverare anche il conte Federico Mossa che, alla fine dell’800, possedeva un’avviata azienda vinicola in regione Monte Cloro quasi a ridosso dell abitato di Pirri.
La configurazione e la qualità del suolo, la vicinanza del mare, il costante consumo di vino hanno sempre incoraggiato la coltura della vite nella regione Monte Claro dal medio evo fino al 700 e all’800 quando la viticoltura raggiunse il suo pieno sviluppo[1].

Fig. 1 L.Piloni, Carte geografiche della Sardegna, editrice sarda Fossataro, Cagliari, 1974, Tav. 147

Fig. 1 L.Piloni, Carte geografiche della Sardegna, editrice sarda Fossataro, Cagliari, 1974, Tav. 147

Da questo periodo, infatti, i terreni posti nelle immediate vicinanze di Villanova vennero progressivamente ricoperti di vigneti caratterizzando un paesaggio che oggi difficilmente possiamo immaginare[2].
Ad aprire la strada all’avanzata della viticoltura nel territorio di Monte Claro furono gli ordini religiosi[3], i gesuiti[4] che avevano diverse vigne, gli scolopi[5] che possedevano nel territorio vasti ed articolati appezzamenti.
Se, ancora nella prima metà del 700, i nobili sardi dimostravano scarso interesse per l’agricoltura e la modernizzazione dei tradizionali sistemi colturali, successivamente il modello di agricoltura razionale che i funzionari sardi e piemontesi auspicavano da tempo trovò, in essi, un uditorio più attento e si ritrovarono meno refrattari alle innovazioni agronomiche e sempre più interessati alle colture specializzate[6].
Accanto a piccoli proprietari come i fratelli Giovanni e Raffaele Meloni, Raimondo Bassu rettore di Mandas, Nicola Girali, Monserrata Lecca Deidda, anche ricche famiglie del circondario, come la famiglia Spiga[7] che possedeva vigneti in regione Calamattia, avevano proceduto alla formazione nella campagna pirrese di molti bei poderi attrezzati con fabbricati che erano talora non solo piccole fattorie ma vere e proprie ville o come si diceva casini di campagna[8].
Gli Alamand[9], i Rossi[10], i Fancello[11] erano proprietari in regione Monte Claro così come Don Antioco Cadello la cui vigna si estendeva di fronte a quella del duca di San Pietro e vicino a quella dei padri trinitari[12].
La vigna di Pirri della marchesa di San Saverio che si trovava in regione is Stelladas era famosa e produceva ogni anno 1400 quartare di vino nero oltre a moscato, malvasia, giro e cannonau[13].
L’immagine che se ne ricava è che, col tempo, nobili, funzionari, professionisti ed ecclesiastici tendono a trasformare le piccole coltivazioni tradizionali finalizzate al consumo domestico in piccole aziende indirizzate alla produzione di vini comuni[14], destinati al consumo cittadino che si rivelava in crescita, e di vini pregiati indirizzati al continente ma richiesti anche dagli inglesi i cui vascelli frequentavano periodicamente il porto di Cagliari[15].
Il conte Federico Mossa nato a Cagliari nel 1810 in una famiglia che in progressiva ascesa aveva raggiunto posti di tutto rilievo nelle più alte magistrature dell’isola, e non solo[16], può annoverarsi tra questi nobili ed ecclesiastici che a cavallo tra la fine del 700 e l’800 si trasformarono in imprenditori agricoli.

Laureato in diritto canonico, giudice di corte d’appello, per alcuni anni ricoprì la carica di vice sindaco rivelandosi un buon amministratore della cosa pubblica[17], musicista, faceva parte del circolo filarmonico[18], era molto noto tra i cagliaritani, nel cui immaginario rimase a lungo il ricordo di quest’uomo che, ogni giorno, terminate le udienze, si recava nella sua azienda di Monte Claro.
Aveva manifestato abbastanza precocemente la sua vocazione agricola: nel 1834 era amministratore dei beni del marchese di Villacidro, per conto del padre Francesco, presidente del consiglio a Genova[19]. Negli stessi anni inizia ad occuparsi delle vigne di famiglia quella di Cuccuru de Serra[20] o Fagundu di proprietà della matrigna, Rita Fancello, da cui la famiglia traeva il vino per il consumo quotidiano e che il vecchio giudice Mossa amava regalare anche a personaggi di rango[21].
Nel 1842 per 24960 nuove lire acquista Casinu de su Duca[22] dallo zio banchiere don Salvatore Rossi depositario dei debiti del duca di San Pietro[23]. Questo appezzamento, con vigne, con oliveto, orti, terreno con vari bagantini, formato da 3 diverse proprietà, Sa bigia e mesu, la vigna di Lorenzo Marini e la parte propriamente detta Casinu de su Duca, divenne il nucleo dell’azienda del conte Mossa.
Completavano la proprietà diverse case rustiche e una villa, costruita nel 700 dal duca di San Pietro per trascorrervi la villeggiatura che aveva ospitato più volte la regina Maria Teresa[24].
Nel 1851, infine, acquista dal fratello Pietro, che l’aveva avuta in eredità dallo zio reverendo don Vincenzo Fancello, un’altra vigna con caseggiato in regione Santa Maria d’Itria[25].
Nel 1853 il conte Mossa riunendo tutti questi appezzamenti aveva creato la sua azienda che si estendeva per più di 25 ettari dalla strada per Pirri fino alla vecchia strada is Cornalis (super giù l’attuale via Castiglione) a ridosso dei possessi dei padri conventuali[26]. Qui, mettendo in pratica quanto aveva avuto modo di apprendere attraverso letture specifiche e quanto aveva avuto modo di vedere durante il suo soggiorno in Piemonte in fatto di conduzione di aziende agricole, si dimostrò subito un provetto coltivatore, attento ai progressi dell’agricoltura[27].
In Casino del Duca, nel 1846, 47, 48, 49, investì notevoli somme di denaro per lavori di manutenzione alle case e ai magazzini e al mulino dell’olio, per acquistare attrezzi, per potare gli olivi ed innestare gli olivastri e, soprattutto, per ripristinare le vigne ormai abbandonate[28].
Le vigne del conte Mossa divennero, ben presto, un punto di riferimento per la manodopera locale: Vignaioli, carratori, ortolani, potatori, aratori, bottai, carpentieri, muratori e fabbri. Alcuni vi dimoravano stabilmente, altri erano chiamati a collaborare, secondo le necessità, nel periodo della vendemmia, della raccolta delle olive e delle mandorle[29].
A monte di questa attività c’era naturalmente l’intraprendenza del conte ma non possiamo dimenticare lo stimolo di alcune istituzioni nate per sostenere l’agricoltura sarda: la Regia Società Agraria ed Economica, istituita a Cagliari fin dal 1804[30], i Comizi Agrari di cui lui stesso faceva parte[31].
Al fine di migliorare le caratteristiche organolettiche dei prodotti e di adattarli ai gusti dei consumatori non sardi ed incrementare, in tal modo, il commercio, decise di adottare nella sua azienda le migliori colture, le pratiche agrarie più convenienti, i concimi più vantaggiosi[32], strumenti rurali perfezionati, sempre aiutato in questa sua impresa dalla moglie Anna Maria Ballero che lo sostituiva nell’amministrazione durante le sue assenze[33].
Nel 1860 si contavano 839 alberi di olive, 320 alberi di mandorle, 9 di albicocche, 30 di pere, 6 di carruba, 150 di mure bianche messe a pimpignera, 50 di fichi, 66 di prugne, 5 di ciliegie, 6 di zinzilu, 9 di albicocche, 24 di melograno oltre a 35 alberi di pistacchio e a lunghissime siepi a fico d’India[34]. I prodotti venivano poi venduti soprattutto verdura e frutta, le mandorle richieste per l’industria dolciaria e farmaceutica, i fichi secchi particolarmente ricercati.
Ma Federico Mossa fu anche e soprattutto un provetto viticoltore e non si limitò a curare le vigne di Monte Claro composte da 434 filari con 34632 viti ma guardò ai risvolti industriali che garantivano alla produzione vinicola un rilevante valore aggiunto. Fu un imprenditore che intendeva sfruttare l’agricoltura in genere e la risorsa uva in particolare nella sua interezza[35].
L’ esperienza acquisita nell’ambito dei comizi agrari gli fu utile anche in questa attività e gli permise di superare i limiti empirici e ormai decisamente superati della viticoltura sarda e di avvicinarsi all’enologia industriale che prevedeva processi di vinificazione più evoluti con l’impiego di nuovi tipi di aratro[36], della zappa a cavallo, di grandi torchi per la pigiatura delle uve, di enormi vasche in pietra dove far decantare i vini e gigantesche botti per il loro invecchiamento. I processi di vinificazione, che avvenivano nelle ormai moderne cantine di Monte Claro, erano seguiti con particolare cura dal conte attento alla qualità dei vitigni e a miscelare con equilibrio le uve al momento della vendemmia per creare vini migliori destinati ai più esigenti mercati di Torino, Genova, Milano, Napoli, Firenze e Roma[37]. L’enopolio continuò a produrre vini da taglio, da pasto e da dessert: il moscato particolarmente dolce, il nasco e il monica dal gusto dolce amarognolo; il malvasia secco e tonico, il Calamattias, un nuovo vino particolarmente secco frutto degli esperimenti del conte Mossa. Non mancava il cosiddetto vinetto[38] che per uso invalso veniva offerto giornalmente ai lavoranti. La sua attività di imprenditore attento e moderno si svolse sempre nell’ambito delle direttive dei comizi agrari e lavoro in un continuo scambio di informazioni ed esperienze con il marchese di Nissa, il conte Nieddu, esponenti di spicco dell’associazione[39].
Sempre nell’ambito di queste associazioni che promuovevano la necessità di far conoscere i prodotti isolani anche fuori dalla Sardegna, partecipò ai concorsi agrari, dapprima nel 1877 ad Oristano dove ottenne la menzione speciale per il vino rosso da pasto e la menzione onorevole per i pistacchi prodotti nella sua azienda[40].
Con il Calamattias di Monte Claro[41] partecipò, spinto anche dalle insistenze dell’on. Cocco Qrtu all’esposizione di Parigi del 1878[42] dove ottenne la medaglia d’oro, e a quella di Milano[43].
Come ampelologo, fu un acceso assertore della cosiddetta potatura verde che attuava nelle sue vigne per alleggerire la pianta e dar luce ai grappoli in modo da ottenere una migliore maturazione dell’uva[44].
Ben sapendo che il commercio del vino era la maggior risorsa economica del Campidano, nel 1876 impiantò a Monte Claro alcuni vivai di viti nostrane per limitare al massimo l’introduzione di barbatelle dal continente onde impedire il progressivo diffondersi della fillossera[45].
Nel 1879, poi, tentò l’impianto di semi di viti americane ma non ebbe i risultati sperati[46].
Si prodigò perché tutti i prodotti sardi, e non solo il vino, fossero commercializzati fuori dall’isola e in questo senso intrattenne una lunga corrispondenza con Francesco Cirio, industriale conserviero per immettere nei mercati italiani ma anche a Londra e a Parigi, primizie fresche isolane[47].
L’azienda del conte Mossa può essere definita, parafrasando Bacaredda “Scuola di intraprendenza, operosità e progresso” perché ospitava giovani che dovevano essere istruiti alle nuove tecniche agricole e vi venivano sperimentati nuovi attrezzi agricoli, (tra l’altro il conte aveva inventato un piccolo aratro per lavorare le zolle intorno alle viti)[48], ospitava alcune nuove piantagioni di phormium[49], di salsola soda[50], di sommaco[51], di pini marittimi con cui si voleva tentare il ripopolamento di alcune zone in prossimità di Cagliari, e di eucaliptus, utili, si pensava, per il miglioramento del clima e quindi per debellare la malaria[52] oltre ad alcuni vivai di gelsi il cui legno poteva essere utilizzato anche per la fabbricazione delle travertine richieste per le costruende linee ferroviarie[53].
Il conte morì nel 1891 ma il “Premiato vigneto eredi conte Federico Mossa” continuò la sua attività fino agli inizi del XX secolo quando l’azienda e i terreni furono venduti dalle eredi ad un’altra azienda vinicola in piena espansione.
Le carte di Federico Mossa, di cui mi sono servita per ricostruire la sua figura sono state donate all’Archivio di Stato di Cagliari nel 1964 e nel 1986 dalla famiglia Ballero nel cui archivio erano confluite in seguito al matrimonio di una delle figlie del conte, Anna, con Carlo Ballero.
Pur non essendo di gran mole il materiale è, comunque, particolarmente significativo, in generale, per la storia delle aziende agrarie in Sardegna, in particolare per ricostruire la figura e l’opera del conte, trait d’union tra la vecchia viticoltura a conduzione familiare e l’industrializzazione della produzione vinicola.
I documenti mettono in evidenza la sua attività che si svolse sempre nell’ambito delle istanze dei comizi agrari e delle idee della Reale società agraria ed economica, la cui istituzione, nel 1804, era stata un momento importante per la Sardegna; vero e proprio consesso di intellettuali, e Federico Mossa fu un intellettuale, sede di vivaci dibattiti scientifici e di conferenze nelle quali venivano esaminati problemi relativi all’economia, all’agricoltura, alle nuove pratiche agronomiche, e, più in generale all’istruzione e alla pubblica sanità, in sintesi alla modernizzazione dell’Isola.

Fig. 2 Archivio di Stato di Cagliari, Uflicio Tecnico Erariale, Mappe-Cagliari, Frazione D: S. Maria Chiara, Stelladas, S. Alenixedda

Fig. 2 Archivio di Stato di Cagliari, Uflicio Tecnico Erariale, Mappe-Cagliari, Frazione D: S. Maria Chiara, Stelladas, S. Alenixedda

Fig. 3 Archivio di Stato di Cagliari, UfficioTecnico Erariale, Mappe-Cagliari, Frazione D: S. Maria Chiara, Stelladas, S. Alenixedda, mappali 126, 127, 128, 129

Fig. 3 Archivio di Stato di Cagliari, UfficioTecnico Erariale, Mappe-Cagliari, Frazione D: S. Maria Chiara, Stelladas, S. Alenixedda,
mappali 126, 127, 128, 129

Fig. 4 Archivio di Stato di Cagliari, Ufficio Tecnico Erariale, Mappe-Cagliari, Frazione D: S. Maria Chiara, Stelladas, S. Alenixedda, mappali 123, 124, 125, 165, 166

Fig. 4 Archivio di Stato di Cagliari, Ufficio Tecnico Erariale, Mappe-Cagliari, Frazione D: S. Maria Chiara, Stelladas, S. Alenixedda,
mappali 123, 124, 125, 165, 166

Fig. 5 Archivio di Stato di Cagliari, Ufficio Tecnico Erariale, Mappe-Cagliari, Frazione D: S. Maria Chiara, Stelladas, S. Alenixedda, mappali 130, 131l.

Fig. 5 Archivio di Stato di Cagliari, Ufficio Tecnico Erariale, Mappe-Cagliari, Frazione D: S. Maria Chiara, Stelladas, S. Alenixedda, mappali 130, 131l.

 

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