Atti del convegno Le Genti di Monte Claro • Dal Neolitico al Ventunesimo secolo
Lucia Siddi
Il simulacro di Santa Maria Chiara e l’iconografia mariano nelle opere custodite nel San Pietro a Pirri
La ricchissima produzione artistica riguardante la figura di Maria è l’espressione più evidente della grande devozione con la quale la Chiesa, nella sua storia plurisecolare, ha costantemente venerato la Madre di Dio. Nel corso dei secoli la sua raffigurazione ha acquisito forme e stili diversi derivanti dal pensiero teologico, dalla tradizione liturgica e dalla evoluzione del gusto artistico.
Le tematiche figurative utilizzate per rappresentare l’immagine di Maria nell’arte possono essere riassunte in tre filoni[1] – la traduzione in immagine dipinta o scolpita di tutto ciò che della Madonna hanno raccontato le tradizioni scritte o orali;
– le raffigurazioni di Maria in chiave simbolica, dove prevale sull’aspetto storico-narrativo il valore concettuale dell’immagine;
– le immagini della Madonna che sono diventate oggetto di culto per motivi storico-tradizionali.
A quest’ultimo filone appartiene senz’altro il simulacro di S. Maria Chiara, ancora oggi veneratissimo, attualmente conservato nella chiesa parrocchiale di S. Pietro a Pirri.
La Vergine è raffigurata in posizione eretta mentre sorregge con la mano sinistra il Bambin Gesù (fig. 1). Pur appartenendo alla categoria delle statue sopravestite, tradizione di origine iberica poi diffusasi anche nelle colonie americane[2], non è realizzata a cannuga, cioè su trespolo con l’intaglio solo del volto, delle mani e dei piedi, ma è interamente scolpita nel legno, anche se nel resto del corpo in modo sommario. La lavorazione della testa a calotta liscia dimostra che, dall’origine, era previsto l’uso della parrucca, solitamente di capelli veri offerti dalle fanciulle. Gesù Bambino, invece, appare perfettamente scolpito e dipinto in ogni sua parte anche se, per tradizione, viene vestito con un abitino di tessuto ricamato.
Nel 1861, il canonico Giovanni Spano[3] attestava la provenienza della statua dall’antica chiesa di S. Maria Chiara, luogo dal quale nel 1818 venne trasferita nella sede attuale in seguito ad una sanguinosa zuffa tra pirresi e cagliaritani awenuta durante i festeggiamenti in suo onore che si celebravano già allora il secondo e il terzo giorno dopo la Pasqua, episodio che porto all’abbandono della chiesa ormai profanata[4].
L’antico simulacro appare citato per la prima volta nel 1604; in quell’anno un inventario riportava il trasferimento delle sue robas dalla chiesa di S. Maria a quella di S. Pietro, mentre la scultura restava nel luogo d’origine[5]. La particolare intitolazione data a questo simulacro mariano, Maria Chiara, dovrebbe derivare dai monaci di Chiaravalle[6], ordine monastico benedettino che, secondo la tradizione, fondo l’omonima chiesa oggi distrutta e da cui,verosimilmente, proviene una campana in bronzo, poi trasferita nella chiesa di Santa Rosalia, nel centro storico di Pirri, dove si legge S.M.CLARA 1775[7].
Nel 1865 è documentato un intervento di restauro da parte dello scultore cagliaritano Domenico Dessì su richiesta di Antonio Ligas[8] che voleva dare alla Madonna un colorito più vivo. Forse è in questa occasione, se non in qualche intervento precedente, che sono stati inseriti gli occhi vitrei, in origine dipinti sul legno (fig. 2).
Nel corso dell’Ottocento sono attestate le spese sostenute da diverse benefattrici per realizzare dei vestiti ricamati da donare alla Madonna, uno più ricco e prezioso da usare in occasione della festa, l’altro più semplice da utilizzare per tutti gli altri giorni dell’anno[9]. L’abito che ricopre attualmente il simulacro venne confezionato nel 1912 in seta bianca con ricami in filo d’oro, e venne offerto da Annetta Massidda Cogoni[10].
Strettamente legati alla scultura sono i numerosi gioielli che, nel corso degli anni, sono stati donati dai fedeli in ringraziamento dei favori ottenuti e che, in occasione della festa, la ricoprono completamente.
Purtroppo, quelli più antichi non si conservano più a causa di ripetuti furti[11], ma anche in seguito alle vendite operate per prowedere a urgen- ti interventi conservativi sulla chiesa di S.Pietro. Il 19 giugno del 1866, infatti, la Giunta municipale scrisse al rettore della chiesa di S.Pietro che, all’unanimità dei voti, era stata deliberata la vendita degli argenti della Parrocchia. Ma solo nel 1869, d’accordo il sindaco Marini e il rettore Bernardi, si procedette alla vendita degli argenti e degli ori con un ricavo di 3.779 lire[12]. I gioielli ancora presenti risalgono, a parte qualche rara eccezione, alla fine del XIX e al XX secolo e sono costituiti da bracciali, anelli, orecchini, spille, catenine e orologi realizzati in oro e argento con pietre preziose, perle, cammei, ma anche con vetri colorati.
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