Decorazioni del Palazzo Viceregio di Cagliari
Itinerario di una intenzione
Il proposito di porre mano a trasformazioni di rilievo nel Palazzo Viceregio risale certamente al momento dell’incendio verificatosi all’interno dell’edificio, che, distruggendo le strutture lignee della precedente sistemazione, impose con urgenza un intervento restaurativo.
Risale a quel momento l’idea di dare un assetto diverso alla zona di rappresentanza, mutando addirittura l’orientamento della sala delle riunioni e sistemando adeguatamente la dimora del Prefetto.
L’intenzione, prima di trovare un esito, ebbe una lenta elaborazione piena di ripensamenti. Se ne ritrova menzione, spesso esplicita, nei verbali del Consiglio provinciale, nelle relazioni morali della Delegazione provinciale, e nelle relazioni dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti in Sardegna, persino agli inizi del secolo XX, quando i lavori principali erano stati già eseguiti [4]. Segno, questo, che le difficoltà economiche, in primo luogo, e organizzative della Provincia di Cagliari, afflitta per anni da problemi finanziari, da defatiganti contese con lo Stato e da disastrose calamità, si riflettevano pesantemente su tutte le iniziative.
Che in situazioni cosi difficili l’Amministrazione pensasse a fornire la sede del governo di un impegnativo apparato ornamentale, di indubbia importanza per il prestigio dell’Istituzione ma non certo necessario, conferma l’entità del rilievo che si attribuiva a un atto di questo genere e rende verosimile l’idea che esistessero in quel senso sollecitazioni e pressioni da parte della Corte di Umberto I, il cui attivismo invadente è ben noto.
Del resto, dal 1870 in poi soprattutto, dopo il tempestoso varo della impalcatura amministrativa del nuovo Regno, tutti i capoluoghi italiani, stazioni staccate e affatto dipendenti dell’autorità centrale e coronata, affrontavano, quasi per un segnale di lealtà di sapore feudale, imprese analoghe, accogliendo nelle sale più prestigiose opere murali che celebravano i meriti di Casa Savoia e le glorie del Risorgimento. Il trionfo, insomma, del1’allegoria dello Stato, illuminato dalla Corona.
In Sardegna l’allineamento verso queste tendenze nazionali aveva già avuto, come s’è accennato, un suo primo significativo episodio nel Palazzo provinciale di Sassari, dove il siciliano Giuseppe Sciuti aveva affrescato le sale di rappresentanza con una serie d’immagini grandiose e di motivi tematici insoliti che non avevano mancato di colpire l’opinione «colta» dell’Isola, la quale reagiva sulla stampa con toni spesso entusiastici [5].
A più di un decennio di distanza anche Cagliari maturò una identica decisione. Il Consiglio provinciale deliberò una spesa per le decorazioni e le modifiche necessarie del Palazzo viceregio. C’è da pensare che Filippo Vivanet svolgesse una funzione di animatore di indubbia autorevolezza, se, come si è visto, fu proprio lui a proporre i temi e l’iconologia degli affreschi, dettando le epigrafi in latino che, a sua firma, è possibile tuttora leggere.
Nel 1892 fu bandito il concorso di carattere nazionale fra tutti gli artisti del Regno, i quali furono invitati a inviare bozzetti e piani di spesa abbastanza dettagliati. I principali giornali d’Italia pubblicarono il bando: ciò spiega la presenza di sedici concorrenti che rappresentavano un campione quasi completo dei più importanti centri culturali della nazione. Tra questi bisogna segnalare, quali esponenti delle arti in Sardegna, Cosimo Fadda, scultore cagliaritano, e Vittorio Levi, insegnante dell’Istituto delle arti e mestieri di Cagliari, dipendente direttamente dalla Provincia [6].
Il concorso ebbe, anch’esso, una lunga gestazione e interruzioni giustificate con la richiesta di modifiche dei progetti decorativi avanzate ai concorrenti e con il conseguente aggiornamento delle spese che richiedevano nuove deliberazioni. La commissione giudicatrice, probabilmente, non si trovò sempre d’accordo nella valutazione artistica o nei giudizi di opportunità; di questo disagio si ha indiretta testimonianza in un trafiletto del periodico «Vita Sarda», che nel numero del 29 maggio 1892 annota alquanto ironicamente: «La commissione giudicatrice, composta dei Signori Ingegneri Filippo Vivanet, Antonio Cao Pinna e Giorgio Asproni, con altri di cui ci sfugge il nome, ha giudicato che… prima si era fatto male a contenere entro le L. 15.000 la base delle opere da eseguire, e che si era fatto benissimo a far lavorare inutilmente i concorrenti… Ultimo atto… una relazione che fra tanto vano affaccendio di stampa, commissioni, sottocommissioni ecc., crediamo inutile anch’essa» [7].
Comunque i progetti furono esposti, a conclusione dei lavori, nel febbraio del 1893 e la scelta del vincitore si ebbe finalmente quasi alle soglie del 1894.
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