Decorazioni del Palazzo Viceregio di Cagliari
La personalità artistica di Domenico Bruschi
È opportuno qualche breve cenno alla formazione e all’attività artistica di Domenico Bruschi, almeno sino al momento della sua opera cagliaritana [15].
Perugino, figlio di un noto avvocato che nello Stato della Chiesa professava idee liberali e irredentiste, ricevette la sua prima educazione classica e artistica nelle scuole e poi nell’Accademia della sua città. Un’istruzione, com’è facile immaginare, esemplata sulla civiltà formale del Rinascimento, quale si impartiva soprattutto nelle scuole dell’Italia centrale, che di quella cultura era stata l’importante teatro.
Comunque un’impronta non del tutto conformista gli venne dall’impostazione scolastica dell’Accademia di Perugia, fortemente segnata dall’insegnamento di Tommaso Minardi, imbevuto di cultura purista e pertanto classicista, ma anche di orientamenti romantici.
Atteggiamenti spirituali di fondo, rafforzati dal sempre presente esempio paterno; si spiega così la sua partecipazione, a diciannove anni, nel 1859 ai moti e alla difesa di Perugia che si era sollevata contro la guarnigione papalina.
Questo episodio, al di là di un interesse puramente biografico, serve a sottolineare il fatto che Domenico Bruschi, anche nei suoi comportamenti, era schierato da un lato preciso di quella sottile barriera culturale e morale che, mentre sul piano teorico separava debolmente classici da romantici, distingueva più decisamente sul piano pratico coloro i quali erano tesi verso un rinnovamento intellettuale e politico dai nostalgici e dai conservatori.
Nella situazione fervida del Risorgimento erano tuttavia possibili gli sbandamenti e le confusioni. Così il segnale più evidentemente romantico del nostro artista consisteva, almeno inizialmente, nella preferenza accordata alla pittura di storia, e, più tardi, in una dichiarata ripugnanza per le favole antiche, nell’abbandono di quel bagaglio inveterato che il suo commemoratore-biografo, Alberto Iraci, chiamerà il «ciarpame mitologico», anche se non sempre riuscì, come succede, ad evitarlo [16].
Quale fosse lo storicismo di partenza lo si può presumere ricordando i suoi criteri e modelli del perfezionamento accademico, che seguì a Firenze (intorno al 1859): pratica dei grandi musei, delle collezioni, delle chiese, e, non ultima, l’attenzione prestata all’invadente personalità di Stefano Ussi, autore di quella celebratissima «Cacciata del Duca di Atene», uno dei quadri di storia più noti del secolo XIX.
Non è dato di conoscere cosa il giovane Bruschi pensasse dei Macchiaioli, che già allora cominciavano a mettere a frutto le esperienze nate dalle discussioni al Caffè Michelangelo, tra il dileggio dell’Ussi. Forse, nell’artista perugino taluni esiti maturarono lentamente e più tardi, benché, fra tutte le indicazioni formali che poteva offrire l’ambiente fiorentino, passasse in lui un mediatissimo principio naturalistico «di verità». Su questo momento iniziale possiamo già avanzare qualche osservazione generica.
Probabilmente la pittura di storia alla quale Bruschi si ispirò deriva esattamente da Stefano Ussi, non tanto nel dettaglio quanto in qualcosa di più generale e letterario: la costruzione di una scena elaborata e grandiosa, progettata, si direbbe, per i grandi melodrammi del secolo scorso.
E, verosimilmente, vide nascere la famosa «Cacciata», esposta nel 1861, la quale, in questo senso, offre un vero paradigma.
È però indubbio che il Bruschi inserisce motivi veristi, annotazioni da ritrattistica istantanea, ma che i suoi brani di paesaggio sembrano ispirati piuttosto dall’ammirazione per i grandi coloristi veneti; e, ancora, che un alito delle sottili cadenze culturali della figuratività inglese preraffaellita (e magari solo attraverso un colore semplificato e araldico e di sobrietà decorativa), entra in qualche modo a comporre insiemi di maggiore finezza del suo maestro. Quest’aura europea, del resto, ebbe modo di assimilarla di prima mano durante un soggiorno di sei anni a Londra, del quale si sa appena che lo vide decoratore errante in diverse nobili dimore nell’Isola Britannica tra il 1862 e il 1868[17].
In sintesi, dunque, le componenti della sua arte si bilanciano tra una ben fondata disciplina accademica e le aperture, grosso modo, di carattere realistico, nei confronti dei fermenti culturali che pervadevano con non poche incertezze formali e scalzavano dall’interno in tutta l’Europa romantica le grandi tradizioni stilistiche.
Riprendendo a seguire gli spostamenti del nostro artista, annotiamo subito la sua presenza, rimasta poi quasi fissa, a Roma. Qui sembra accadere, se non una svolta, un mutamento nella sua arte.
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