Decorazioni del Palazzo Viceregio di Cagliari – Il contesto sardo
Nel momento in cui, tra il 1878 e il 1895, le Province sarde decidevano le imprese decorative e vi davano mano chiamando a compierle lo Sciuti e il Bruschi, lo stato delle «belle arti» non era molto diverso da quello appena e schematicamente delineato.
Si erano, però, modificate verso lo scadere del secolo, due condizioni essenziali, estremamente positive per lo sviluppo del campo dell’arte: il quadro complessivo delle attese e delle richieste culturali, e l’intervento nel mercato della committenza privata, per lo più risalente a una borghesia in ascesa, piuttosto attiva e desiderosa di crearsi uno stile di vita.
Questo ceto nuovo, spesso di recente trapianto continentale, abbastanza aggiornato e in contatto con gli ambienti esterni all’isola, introduce soprattutto a Cagliari, maggiormente toccata da vivaci processi di modernizzazione urbana, modelli artistici nazionali e operatori forestieri. È, per citare un esempio significativo, il momento in cui si dà mano all’edificazione che va da Via Roma, con la sua palazzata scenografica, sino alla Piazza del Carmine e all’opposto verso la Via XX Settembre, tracciando direttrici di traffico più ampie e adatte all’impianto di collegamenti meccanizzati.
Lo stile delle abitazioni cambia, e muta quel volto spagnolesco della città che tanto sorprese il Valery che, com’è piuttosto noto, dedicò a questo aspetto di Cagliari una bella descrizione nel suo celebre Voyage. È, per fare un esempio ancor più significativo sul piano del costume, il momento in cui il cimitero di Bonaria si arricchisce di monumenti funebri e di cappelle gentilizie, con profusione di marmi, di sculture e di affreschi, secondo una tendenza diffusa in tutto il continente italiano, introducendo in una civiltà molto sobria, e riservata nei propri affetti privati, una concezione della morte strettamente collegata al prestigio sociale. Tra gli artisti operosi nell’ambito di questa committenza borghese troviamo anche nomi di spicco nazionale, specialmente nella scultura: da Tito Sarocchi a Giovanni Pandiani, da Giovanni Battista Troiani a Giuseppe Sartorio.
Quest’ultimo scultore impianta in Sardegna una vera e propria attività semindustriale con centro a Cagliari e diventa celebratore autorevole degli affetti stroncati dalla morte così come degli eventi e delle personalità di rilievo pubblico: è autore, tra l’altro, del busto in marmo del re Umberto I che ancor oggi domina, dall’alto di un pilastro, la sala delle adunanze del Palazzo della Provincia.
Tra i pittori ricordiamo l’attività di Gaetano Bilancioni, frescante nelle chiese di S. Antonio e di S. Caterina nel capoluogo isolano, e ritrattista di buone famiglie.
Naturalmente tutto questo non è senza conseguenze sul gusto corrente, prepara altre attese e anima l’ambiente artistico. Ne sono un sintomo significativo alcune mostre, che comprendono un numero piuttosto ampio di dilettanti ma anche di professionisti, organizzate a Cagliari e a Sassari tra il 1886 e il 1896, la fortuna di certi artisti locali quali Cosimo Fadda, Enrico Geruggi e Pippo Boero, e la migrazione verso scuole continentali di aspiranti artisti, tra i quali è bene ricordare per la sua rilevanza Felice Melis Marini, figlio di quell’architetto Melis, progettista del monumentale neoclassicheggiante mercato di Cagliari.
Che le presenze delle quali s’è parlato e le imprese decorative nelle due principali città sarde abbiano potuto dare una spinta decisiva alla rinascita e riqualificazione della vita artistica è da considerare un fatto del tutto scontato. Si può quindi attribuire, quasi ovviamente, a queste realizzazioni commissionate da enti pubblici una funzione, se non di guida ideologica, di efficace stimolo, e interpretarle come segnale più evidente di quel primo risveglio d’interesse.
Si dovrebbe, a questo punto, giungere con maggior precisione a stabilire in quale misura le decorazioni del Palazzo viceregio, posta l’autorevolezza dell’iniziativa, siano diventate modello pratico, punto di riferimento per gli artisti sardi, o solamente cagliaritani.
Una risposta a tale quesito dovrebbe percorrere la via di una quantificazione iconografica, che non è il caso di iniziare in questa sede. Seguiremo perciò un ideale confronto anche con la precedente e più nota figurazione della Sardegna dell’Ottocento, assumendo come base i temi riguardanti la storia e i costumi isolani. Viene in mente, come esempio massimo, la serie di quadri eseguiti da Giovanni Marghinotti per il Municipio di Cagliari – ancor oggi parte integrante della collezione civica – che narrano alcuni episodi dei primi rapporti tra le autorità romane e le popolazioni sarde, visti non già alla luce delle battaglie, delle resistenze e delle deportazioni ma in quella della conciliazione e del riconoscimento della grandezza e saggezza di Roma.
I modi artistici del Marghinotti sono da riferire, con il loro tono di alta scuola, a quelle pieghe del gusto tuttavia purista che raccoglievano abbondantemente i fermenti romantici e li indirizzavano verso l’ufficialità.
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