Decorazioni del Palazzo Viceregio di Cagliari

 

Appendice

 

Relazione della Commissione Esaminatrice dei progetti per la decorazione dell’aula del Consiglio Provinciale di Cagliari.

Onor. Sigg. della Deputazione Provinciale di Cagliari.

Quando, con lodevole divisamento, il Consiglio provinciale di Cagliari pensava ad abbellire colla genialità dell’Arte le sale delle sue adunanze, e in conseguenza di ciò bandiva un apposito concorso, certo non potea prevedere che, data la relativa ristrettezza del tempo e della somma stabilita, una così larga schiera di valentissimi artisti, quale fu quella che si presentò, dovesse scendere in campo per disputarsi l’onore dell’affidamento di un lavoro, che solo in ben scarsa misura può compensare le fatiche d’una concezione lunga e dispendiosa.

L’esito ha superato l’aspettativa, e le previsioni sono state inferiori alla realtà.

Chiunque siasi recato a visitare l’esposizione dei bozzetti, fatta appositamente in una sala del palazzo della Provincia, non può che averne tratto una ben gradita impressione; giovani valentissimi, speranze dell’arte e maestri provetti, cui essa concedette già il più dolce dei suoi sorrisi, non sdegnarono inviare i loro disegni, frutto di accuratissimi studi, ciascuno mirando al conseguimento di quel premio che torna sempre ben gradito a chi ha consacrato all’Arte il suo cuore ed il suo ingegno.

Ben difficile dovea tornare il compito della Commissione; fra tanti ottimi concorrenti, il giudizio definitivo sovra uno solo di essi dovea necessariamente rimanere almeno sulle prime assai incerto; si sarebbe voluto poter togliere tutto quello che vi potea esser di più bello, di più nuovo, di più geniale, di più artistico, per fondere le diverse parti in una sola, e formare un unico progetto, che concentrasse in sé la pluralità delle idee, delle concezioni; ma posto che ciò era impossibile, posto che la scelta dovea cadere su di un solo, si andò scrupolosamente esaminando quali dei bozzetti presentati rispondesse più perfettamente alle norme stabilite pel concorso, e per via d’eliminazione si giunse al risultato che andremo più sotto esponendo, risultato che, mentre torna ad onore del prescelto, certo non può menomare la lode che giustamente gli altri si hanno meritato.

 

I progetti presentati al concorso ed esposti furono:

N. 1. – Autori: Lorenzuoli Angelo e G. B. Borsani di Milano ed Ernesto Fontana per le pitture, con 8 tavole.

N. 2. – Diana Giovanni, pittore, di Napoli, con 8 tavole.

N. 3. – Boasso G. e Morgari di Torino, con 2 tavole.

N. 4. – Picchi Cesare, architetto, di Cagliari, con 3 tavole.

N. 5. – Fasce G. B. Francesco, professore, di Roma, con 7 tavole.

N. 6. – Alberti G. Vincenzo e V. di Stefani di Venezia, con 10 tavole.

N. 7. – Mariani Vittorio e Pinmeschi Gherardo di Roma, con 2 tavole.

N. 8. – Cominelli Angelo di Brescia, con 5 tavole.

N. 9. – Rampana Giovanni di Brescia, con 1 tavola.

N. 10. – Motto «Cagliari» con 2 tavole.

N. 11. – Mantegazza Giacomo e Pirovano Ernesto, architetti, di Milano, con 5 tavole.

N. 12. – Brivio e Focosi Luigi di Milano, con 5 tavole.

N. 13. – Bruschi comm. Domenico di Roma, con 4 tavole.

N. 14. – Spagnuoli Rosario, Gentili Francesco e Corona Francesco di Palermo, con 3 tavole.

N. 15. – Levi Vittorio, architetto, di Cagliari, con 6 tavole.

N. 16. – Pennasilico G. di Genova, con 1 tavola.

 

La Commissione nell’esame dei lavori esposti procedette per eliminazione, escludendo quei progetti che per un verso o per l’altro risultarono non trovarsi nelle condizioni imposte dal programma di concorso.

Alla stregua di questo criterio rimasero esclusi:

Progetto N. 1 del Lorenzuoli e del Borsani

Id. ›› 3 del Boasso e del Morgari

Id. ›› 9 del Rampana

Id. ›› 10 Motto «Cagliari»

Id. ›› 16 del Pennasilico

 

Il primo per non esatta corrispondenza fra i motivi decorativi ed il prezzo stabilito, avendo presentato, nel soffitto decorazioni, necessarie per lo svolgimento del concetto artistico che informa il progetto, le quali però l’autore dichiara di non poterle comprendere nel totale e quindi di non poterne effettuare l’esecuzione, e gli altri quattro per non avere interamente adempiuto le condizioni prescritte dal manifesto; cioè, il N.3 per avere il soffitto e le pareti in scala da 1 a 100, che dal programma erano richiesti a 1/50, non tenendo conto della differente altezza esistente fra le porte e le finestre; i progetti poi del Rampana, del Pennasilico e quello segnato col motto «Cagliari» sviluppati incompletamente, per non aver fornito alla Commissione quei dati artistici e tecnici richiesti e necessari per un accurato esame dei lavori e per un esatto giudizio.

Sebbene queste mancanze fossero in parte lealmente confessate dai medesimi concorrenti, non era in facoltà della Commissione accettarli al concorso, costituendo il programma quasi un contratto d’indole pubblica e le ragioni speciali, militanti a favore di un concorrente, se possono scusare l’inadempimento di un obbligo, non valgono a far nascere un privilegio che tornerebbe a vantaggio degli uni e a discapito degli altri.

La Commissione non può però non riconoscere in alcuni dei bozzetti esclusi pregi non indifferenti e molto alla medesima rincrebbe, che per queste ragioni d’indole contrattuale tale esclusione dovesse appunto colpire il Pennasilico ed il Fontana, due artisti valentissimi che nella pittura acquistarono chiara fama, segnando nella storia contemporanea dell’arte una pagina non ingloriosa.

Dopo questa esclusione i progetti da esaminarsi si ridussero a undici che vennero discussi nella varie adunanze tenute dalla Commissione, la quale dopo un’ampia rassegna limitò ogni ulteriore discussione ad un numero ristretto di progetti, che a suo giudizio sovra gli altri eccellevano sia per meriti artistici, sia per altre ragioni d’ordine puramente tecnico.

Ma se la Commissione credette opportuna questa cernita, non converrebbe inferirne che i progetti, esclusi in una prima votazione, sieno privi di meriti e non degni di lode; anzi occorre dir subito che il concorso, anche limitato soltanto ad essi, non sarebbe stato punto sconfortante, poichè se nessuno dei sei lavori parve raggiungere quel valore artistico, che la Commissione credette trovare nei cinque che furono scelti, quasi tutti per altro sono composizioni lodevolissime, che chiaramente attestano quanto amore i nostri artisti hanno per l’arte decorativa in cui l’Italia sovra le altre regioni d’Europa ebbe il primato e la gloria di dettar leggi.

Un rapido cenno dei lavori, dalla Commissione apprezzati con piena concordia di giudizio, spiegherà maggiormente i criteri ai quali essa s’attenne in questa prima votazione.

Il progetto N. 2 del Diana può scindersi in due, che, identici nella struttura generale, differiscono nelle decorazioni dei riparti essendo in una variante eseguiti a stucco, nell’altra a pittura.

L’autore ha un nome già noto e stimato in arte e come decoratore immaginoso e pieno di gusto si è palesato nei lavori eseguiti nella galleria Umberto I di Napoli e nella stazione di Palermo.

La sua composizione per il motivo architettonico che l’informa e per l’intonazione generale delle tinte rammenta la grazia e la semplicità elegante delle sale del 1700.

Se non ostante i molti pregi il lavoro del Diana, sviluppato con abbondanza di particolari in otto tavole, condotte tutte ad acquarello, di esecuzione inappuntabile, non produce interamente l’impressione desiderata, lo si deve all’aver voluto evitare le tinte forti, gli effetti policromi, limitandosi alla sola combinazione del bianco coll’oro.

Certi difetti poi, come il collocamento dei busti sovra le cimase delle porte, senza un nesso architettonico che ne formi una decorazione naturale, rivelano una trascuraggine, che impedì all’autore di perfezionare in ogni parte l’opera sua, di cui però alcuni particolari, di una finitezza e grazia sorprendenti, rivelano nel Diana un’abilità non comune e spiccate attitudini per l’arte decorativa.

Il Picchi col suo progetto ci riconduce alla decorazione severa, compassata, dalle linee geometriche, che si svolge inpendentemente dagli effetti del chiaro-scuro, dal fascino degli attorcigliamenti ed arabeschi delle nuove foggie.

Evidentemente il giovine autore si lasciò abbagliare da quell’aurea semplicità, a cui, emancipandosi da ogni eccesso decorativo, s’inspirarono tanti sommi.

La decorazione infatti da lui presentata è costituita da una cornice, sopportata da lesene, che dividono le pareti in grandi riparti, in cui si sviluppa una serie di cornicette arcuate.

Il motivo, oltre all’esser troppo semplice per una decorazione interna, fu molto sfruttato in quelle esterne.

Manca interamente quella nota originale, quasi personale, che si riscontra in tutte le composizioni, anche quando sieno inspirate ad altri esempi.

Abbastanza indovinato il fregio sovra le porte per far rincorrere le cimase dei vani, senza che ciò possa dirsi delle finte porte, dall’autore progettate per ragioni di simmetria, ripiego che aumenta la monotonia di tutti quegli archi e lesene.

Bisogna però aggiungere che l’autore ebbe il merito di proporre per l’esecuzione delle pitture il Guglielmo Bilancioni, artista valente ed accurato, di cui Cagliari ebbe modo d’apprezzare il valore artistico, e di preoccuparsi della solidità delle varie parti decorative. Le sopraccennate lesene sono in mattoni con una sporgenza abbastanza forte e fino alla linea dei parapetti una placcatura di marmo bardiglio riveste le pareti.

Il progetto del prof. Fasce è di tutt’altra natura; ad imitazione della sala del Consiglio dei X a Venezia e di molte altre del Medio Evo, le pareti per una certa altezza sono rivestite con tavole di noce, elegantemente scolpite, mentre la parte superiore resta divisa da ricche cornici in grandi scomparti, dipinti a finto arazzo.

La cornice di coronamento si svolge elegante e dal fregio, con una felice disposizione di stemmi, combinantisi con puttini e festoni, l’autore ottiene effetti policromi di una certa bellezza.

Il soffitto richiama quella decorazione, che, ricca di figure e d’ornamenti, dietro una prima impressione può sembrare grandiosa, ma, sottoposta ad un esame più calmo, più sereno, cade non poco nel trito e nell’eccesso di rilievo, di sagome e di trafori.

Nessun tentativo nel lavoro per far riescire meno accessibile all’occhio la disimmetria esistente fra le due pareti longitudinali per il diverso numero di luci, anzi, decorando riccamente le porte con stucchi, busti e stipiti in marmo e munendo d ‘altra parte le finestre di semplici tendine verdi, fece spiccare maggiormente tale inconveniente.

Nel progetto N. 8, autore il Cominelli, gli stipiti e i sovraornati delle luci costituiscono l’unica ornamentazione delle pareti. La posizione eccentrica del gran quadro, se puossi spiegare in talune composizioni speciali, dove la disimmetria si rivela in tutte le parti decorative e quasi caratterizza il concetto artistico che informa la decorazione, mal s’adatta nel progetto, di cui ê questione, in cui la ripartizione, la struttura è regolare, quasi geometrica.

Non mancante di pregi è il fregio curvo, in cui svelti mensoloni binati, in rilievo abbastanza sentito, imprimono un movimento nelle masse decorative, di gradevole effetto.

Nel progetto dei signori Brivio e Focosi la Commissione non rinvenne alcun pregio artistico, sia nel concetto decorativo, sia nell’esecuzione dei disegni. Invano si cerca nei dettagli architettonici quell’armonica proporzione fra le diverse parti che oramai, quando non vi supplisca il gusto dell’artista, sono soggette anche a formule matematiche.

 

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