Il Viceré del Bastione
L’avvento di un nuovo regime
Nell’estate del 1720 la Sardegna passò formalmente sotto il dominio sabaudo, in virtù delle clausole del trattato di Londra del 1718, che stabiliva lo scambio dell’isola, allora possesso dell’Austria, con la Sicilia governata da Vittorio Amedeo II di Savoia[1]. I negoziati londinesi avevano costituito una sorta di appendice della pace di Utrecht del 1713 e avevano portato a compimento, dopo un quinquennio di forti tensioni internazionali, il piano di riequilibrio continentale varato dalle maggiori potenze alla fine della guerra di Successione spagnola.
La Sardegna veniva ad assumere una rilevante importanza strategica nel nuovo assetto politico dell’Europa, all’interno del quale il mare assolveva un ruolo essenziale, quale garante e veicolo del rinnovato ordine internazionale. Non era dunque soltanto in virtù di una metafora barocca che in un opuscolo anonimo pubblicato in Francia nel 1714 l’isola veniva definita la “paraninfa” della pace europea, ossia lo strumento di mediazione che aveva permesso il raggiungimento di un accordo tra le grandi monarchie. Certo, il nuovo equilibrio europeo si concretizzò soprattutto in una politica di “baratti”, con cui Inghilterra, Francia e Austria distribuivano i piccoli Stati a principi spesso completamente estranei alle tradizioni storiche e civili dei paesi che avrebbero dovuto governare.
Questo fu per esempio il caso dei Savoia, a cui venne in un primo tempo assegnata la Sicilia e quindi la Sardegna, possesso che comunque consentì alla dinastia di mantenere il titolo regio faticosamente conquistato. A partire dal 1717, quando cominciò a concretizzarsi la prospettiva dello scambio, la corte torinese si impegnò in un notevole sforzo per raccogliere dati e notizie circostanziate sulle istituzioni, sugli apparati giudiziari e amministrativi, sulla società, sull’economia del nuovo regno, cercando nel contempo di far tesoro delllesperienza breve, ma intensa, maturata nel contesto siciliano[2].
La politica adottata in Sardegna nei primi decenni del regime sabaudo, fu infatti influenzata da quanto era accaduto durante il governo della Sicilia e Fazione che lì era stata portata avanti dai funzionari piemontesi venne in qualche modo trasfusa, pur con le opportune modifiche per evitare gli errori commessi, anche nelliamministrazione del territorio sardo[3]. Non e un caso del resto che nel gruppo di ufficiali incaricati di amministrare l’isola, figurassero molti uomini che avevano già svolto incarichi in Sicilia. Tra questi vi era anche colui che sarebbe diventato il primo viceré della Sardegna sabauda, cioè il barone di Saint Remy, Filippo Guglielmo Pallavicino.
Vale la pena, a questo proposito, di considerare più attentamente la cronistoria dell’impresa.
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