Il Viceré del Bastione – Un inizio difficile

 
 

A dispetto delle dichiarazioni formali che attribuivano al Saint Remy la stessa autorità goduta dai predecessori spagnoli, sul piano pratico la sua azione risultò fin dall’inizio fortemente vincolata dai nuovi assetti costituzionali introdotti dalla volontà razionalizzatrice della monarchia piemontese, che mirava a una più netta distinzione delle competenze tra gli organi amministrativi e all’equilibrio tra i diversi poteri giurisdizionali, secondo lo spirito presente nelle riforme allora portate avanti negli Stati sabaudi di terraferma[14]. Il Pallavicino comprese subito le conseguenze di tale politica e sostenne con caparbietà, anche se con scarsa fortuna, le prerogative della propria carica, difendendo così, sia pur inconsapevolmente, le consuetudini del Regno, che avevano sempre contemplato un certo margine di autonomia per il massimo rappresentante locale della Corona.

Da buon militare il Saint Remy era anche sostenitore della maniera forte e fin dall’ottobre 1720 si premurava di informare la corte torinese che i suoi predecessori avevano governato la Sardegna con grande discrezionalità. “É secondo i diversi caratteri dei Viceré che questo Regno è stato governato”, ma proprio per questo “chi amava la giustizia e il diritto e si mostrava disinteressato, l’aveva governato bene, mentre chi lo governava con debolezza non aveva fatto né il servizio del Re, né quello dei sudditi”. A proposito citava gli esempi del duca di San Germano, del conte di Altamira e del conte d’Egmont, “i quali si sono meritati gli elogi di questo Paese e un eterno ricordo grazie ai buoni ordini che impartivano e al loro agire sempre prudente, anche se nello stesso tempo erano duri e severi nei riguardi dei crimini ai quali questo popolo è incline”[15].

L’atteggiamento deciso del vicere’ si manifestò subito in occasione dell’epidemia di peste che era scoppiata a Marsiglia nelliestate del 1720 e si era poi diffusa in Provenza e nel Mediterraneo. Egli adottò una serie di drastiche misure per evitare sbarchi abusivi dai bastimenti provenienti dalla Francia e riorganizzò il Tribunale della Sanità, trovando sostegno più che nella corte di Torino, dove la minaccia veniva sottovalutata, nei tre Stamenti[16]. Questi, infatti, dopo essere stati convocati nel gennaio 1721, offrirono 8000 scudi per affrontare le spese necessarie a prevenire il contagio[17]. L’iiniziativa viceregia non fu però gradita dal sovrano, che a suo tempo aveva ordinato al barone di non convocare il Parlamento “senza espresso ordine nostro” e che ora mirava a frenare l’attivismo del Saint Remy, considerato pericoloso per la linea politica sabauda, ispirata alla massima cautela.

L’autorità del Pallavicino non veniva però limitata soltanto da Vittorio Amedeo II, bensì era messa in discussione anche dagli altri funzionari sabaudi. A questo proposito fin dall’inizio sorsero forti contrasti con l’intendente generale Pietro Paolo Capello, incaricato del governo degli affari economici, il quale riteneva di poter continuare a godere delle ampie prerogative del procuratore reale di epoca spagnola, magistrato di cui aveva sostanzialmente ereditato le attribuzioni. Già nel settembre 1720 il barone lo accusava di “essere dispotico” e si rivolgeva al ministro Mellaréde, sottolineando la centralità della propria carica e il fatto che “se tutto non passa più attraverso il viceré, non mancheranno persone di questo paese che si serviranno di tale divisione di giurisdizione per fare i loro interessi”. Occorreva dunque che tale centralità venisse ribadita, “se il Re vuole essere servito” e che nel contempo venissero definite in modo chiaro le competenze dell’Intendenza[18].

 

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