Il Viceré del Bastione – Potere viceregio e autonomia giudiziaria

 
 

Nella primavera del 1722 le lamentele nei confronti del viceré erano così tante, che come attestava la segreteria degli Interni non si sapeva dove metterle. ll Saint Remy tuttavia non rinunciò a difendersi e in aprile inviò una lunga missiva al Mellaréde, nella quale spiegava di non aver mai agito arbitrariamente, ma di aver prima ascoltato il parere del reggente e della Reale Udienza. Egli pregava il ministro “di farmi la grazia di non condannarmi senza ascoltarmi; spero che anche il Re me l’accorderà d`ora in avanti… Io renderò conto delle mie azioni, senza tralasciare nulla di quel che ho fatto e di quello che farò… ma io ripeto ancora una volta che se il Viceré non è sostenuto e non lo si informa di ciò che si scrive contro di lui, il servizio del Re ne soffrirà, soprattutto perché con le poche truppe che S. Maestà vuole lasciare qui, se si vede che il Viceré esita, potrà succedere il peggio. Bisogna che tutto dipenda da lui, perché lo si tema e lo si stimi e perché si possa credere che egli ha credito, giacché tutti in questo Paese, benché siano molto poveri, sono furbi, simulatori e ipocriti”[66].

Si trattava di osservazioni che il barone riprendeva in una lettera del maggio successivo inviata a Vittorio Amedeo II, al quale chiedeva di “avere la bontà di permettermi di giustificarmi contro i calunniatori” e di difendere “l’ufficio di cui V.Maestà mi ha onorato, che è al di sopra delle mie
capacità, ma non certo del mio zelo”. Nelle argomentazioni del Pallavicino ritornava con insistenza l’idea di un viceré legato al sovrano da un particolare rapporto di stima e confidenza, che rispecchiava una concezione del potere condiviso che ormai era lontana dalle direttive seguite dall’assolutismo sabaudo. “Quello che io ho l’onore di dire a V.Maestà e che è indispensabile al suo servizio, è che bisogna che il viceré nominato da V.Maestà sia di sua fiducia e che abbia una autorità assoluta, e che quando si ricorre contro di lui V.Maestà abbia la bontà di respingere le denunce, e se il viceré non si giustifica che V.Maestà lo castighi rigorosamente come merita”[67]. Nel riproporre come fondamento politico il legame personale tra principe e ministro, il Saint Remy mostrava in realtà di non avere compreso il nuovo modello amministrativo che Vittorio Amedeo II intendeva realizzare in Sardegna come in Piemonte, vale a dire il sistema basato sul governo burocratico e sulla divisione dei poteri.

Il monarca sabaudo, dal canto suo, scrivendo al vicere nel giugno 1722, ribadiva il principio che bisognava “lasciare ai tribunali ordinari di provvedere alle istanze di quelli che hanno dei processi pendenti davanti ad essi, non essendo conveniente interrompere il corso delle procedure con provvedimenti del Governo”[68]. Il barone rispose, precisando che “Nelle cause civili non entra a votare il Viceré e le sentenze si danno senza che il medesimo le firmi, e così mai ho fatto sospendere l’esecuzione delle medesime. Nel criminale può votare il Viceré, il che non ho però mai voluto fare, e sì le une che le altre si sono sin adesso eseguite senza veruna contraddizione fatta da me”. Egli comunque avrebbe eseguito “l’ordine di V.Maestà nelle cose di Governo, ove dovrò consultare li Ministri delle Sale e non concordando assieme nei voti, avrò l’onore di mandare li medesimi separati alla Maestà vostra”[69].

Se il Saint Remy dovette quindi fare ammenda del proprio comportamento, anche il reggente fu richiamato all’ordine; citato come corresponsabile, il San Giorgio prese le distanze dal collega. Nel luglio 1722 assicurava il Mellaréde che avrebbe parlato al Pallavicino, per “sempre più insinuarli di non far provvisioni alli memoriali senza prima comunicarmeli” e che “darò dal mio canto ogni attenzione per sfuggire alcun disordine sia per il Reale che pubblico servizio”[70]. Nonostante le giustificazioni egli finiva tuttavia per ammettere di essere venuto meno non soltanto al proprio ruolo di consultore, bensì di controllore del viceré. Un fatto questo che contribuì certamente a determinarne la sostituzione con Guglielmo Beltramo, conte di Mezzenile, giunto in Sardegna nel 1724 e rimastovi fino alla morte, awenuta nel giugno 1730.
 
 

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