Il Viceré del Bastione – Il secondo mandato (1726-1727)

 

In realtà le speranze del sovrano andarono deluse e la situazione nel nord dell’isola continuò a suscitare preoccupazione nelle autorità piemontesi. Già nell’ottobre 1726 il viceré aveva comunicato che la spavalderia dei fuorilegge aumentava di giorno in giorno, informando che “i banditi di Torralba e di Bonorva, messisi insieme”, avevano attaccato il carcere del villaggio di Thiesi e avevano liberato i detenuti[219]. A meta novembre il Saint Remy ruppe gli indugi e decise di inviare nel Capo di Sassari un distaccamento di dragoni e un corpo di fanteria, “per vedere di mettere qualche riparo ai gravi disordini che colà succedono, per il ché sto facendo le prevenzioni che mi paiono più adattate per questo fine, e principalmente per vedere di togliere la radice alle parzialità che si nutriscono nella Villa di Ozier et altre di quei dintorni”. Lo angustiava tuttavia il fatto di non avere a disposizione un uomo di fiducia a cui affidare tale compito , “non potendo avere una intera confidenza dalla condotta fin qui tenuta dal cavalier Carlino per incaricarlo di questa commissione”. Egli perciò riteneva che fosse indispensabile il suo intervento e chiedeva di trasferirsi “in quel Capo con il permesso di V.Maestà, credendo che sarà ben difficile di potervi stabilire la quiete senza la presenza colà per qualche tempo del Viceré, che sia a portata di dare prontamente le provvidenze per riparo dei disordini che succedono”[220].

A distanza di qualche anno il barone tornava dunque a presentare la proposta di una visita del Regno, ribadendo il ruolo centrale e insostituibile del viceré nell’azione di governo. Questa volta Vittorio Amedeo II non fu sordo alle sollecitazioni del suo rappresentante e approvò la decisione di inviare i soldati nel Sassarese, qualora fossero continuati gli episodi di illegalità. Così nel dicembre 1726 dava il suo assenso affinché il Saint Remy si trasferisse “eziandio personalmente tanto in Sassari che dovunque crederete necessaria la vostra presenza, per imporre a quei Popoli e dare quelle disposizioni che stimerete opportune per ristabilirvi la pace e la tranquillità”[221].

Le precarie condizioni di salute impedirono al Pallavicino di realizzare il suo proposito, ma la “pacificazione” di Ozieri venne comunque portata avanti e comportò anche l’intervento della Reale Udienza, che di concerto con il viceré e il reggente elaborò un apposito provvedimento per ripristinare l’ordine. La lettera viceregia del 4 gennaio 1727 che informava il re, è particolarmente importante e consente di cogliere la diversa ottica con cui il barone e i magistrati sardi avevano affrontato il problema. Il nobile piemontese dichiarava di aver deciso “con questa Reale Udienza di mettere ai piedi di V.Maestà un progetto per la buona regola e Governo di quel Popolo, che trasmetto alla Segreteria di Stato”. Egli tuttavia chiedeva il permesso di esprimere il proprio parere a riguardo, dal momento che aveva “qualche pratica in queste materie”. “Dirò in primo luogo”, esordiva il Saint Remy”, “che non levando le armi ai pecorari, la maggior parte si faranno pecorari per portare le armi e con quelle si offenderanno sempre le due parzialità, e così resterà vano et insufficiente qualunque altro progetto, quando non si vada interamente a levare la radice del male”.

Inoltre, considerava “troppe le pene pecuniarie in questo progetto”, perché “mentre quelle ridondano in pregiudizio degli innocenti, vedove et pupilli, non castigano i delinquenti”. La sua opinione era quindi che “si dovessero mettere pene corporali, come sono di fustigazione e Galera e questa prima è quella che temono di più in questo Paese”. Del resto, doveva ammettere in tutta sincerità che “tutti questi Ministri non sono Piemontesi e questi del Paese hanno sentimenti diversi dai nostri e pare loro che non si deve essere severi, mentre a me e agli altri che solamente con la severità si possono contenere questi Popoli, come sperimento in questo Capo (di Cagliari), dove col rigore li ho ridotti alla quiete e non si sente più che vi siano grassatori di strade, né omicidi”. In conclusione consigliava di lasciare per qualche anno a Ozieri “un distaccamento di 50 o 60 uomini a sostenere la Giustizia, la quale è temuta infinitamente da questi Popoli, quando si è in stato di poterla far rispettare. Inoltre si deve esiliare da Ozier e quei luoghi qualche famiglia delle più inquiete o in Cagliari o in Alghero e con l’esempio di queste le altre staranno al loro dovere”[222].

 

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