Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA
Maria Antonietta Pilia: Preistoria e protostoria
Dal Calcolitico all’Età del Bronzo
La cultura di San Michele è articolata un po’ dovunque in Sardegna: nelle pianure del Cagliaritano e dell’Oristanese (Cuccuru Ambudu-Serramanna, Su Cungiau de is Fundamentas-Simaxis, Conca Illonis-Cabras, Perda Lada-San Vero Milis), in colline (Puistèris-Mogoro, Turrìga-Senorbì), nel Sulcis (S’Arrorgiu-Villaperuccio, Barbusi-Carbonia), nella zona di Nuoro (Locòe-Orgosolo) e nel Sassarese (il villaggio santuario di Monte d’Accòddi).
Gli uomini vivono pacificamente sia in villaggi di capanne estesi e privi di fortificazioni (San Gemiliano-Sestu, Puisteris-Mogoro, Monte Ollàdiri-Monastir), sia anche in grotte e ripari sotto roccia.
Tipica di queste popolazioni è l’adattabilità al luogo che permette loro di sviluppare un’economia diversa a seconda della zona geografica abitata: l’economia può essere quindi a prevalenza agricola o pastorale, con integrazioni di caccia o di pesca (nelle zone costiere o dei grandi stagni) o di raccolta, o di sfruttamento dei minerali e dell’ossidiana. I prodotti della cultura materiale, in particolare le ceramiche, caratterizzano queste popolazioni e ne confermano l’origine orientale. Le forme sono svariate: le tecniche decorative ed i motivi ornamentali, prevalentemente geometrici, sono ricchissimi. Compaiono vasi dipinti, rari, anche se la tecnica coloristica preferita non è quella della pittura, ma quella delle decorazioni ad intaglio, ottenuta asportando ritagli di pasta e riempendo il vuoto con ocra di colore contrastante.
Caratteristici di questa civiltà sono i luoghi di sepoltura ipogeica in grotticelle scavate nei fianchi di monti e di colline, chiamate in sardo “domus de janas” (case delle fate o delle maghe). Se ne contano circa un migliaio in piccoli gruppi o grandi necropoli (Anghelu Ruju-Alghero, Santu Pedru-Alghero, San Benedetto-Iglesias, Montessu-Villaperuccio, Pani Loriga-Santadi, Nuraxi Figus-Gonnesa, Locci Santus-S. Giovanni Suergiu). La loro pianta è varia, rettangolare, circolare, semicircolare, mista: in genere l’interno, scolpito nella pietra, imita le abitazioni dei vivi, con il tetto conico o a doppia falda inclinata, le porte profilate, le false finestre e, talvolta, le ricche decorazioni pittoriche e a rilievo alle pareti che, nella loro simbologia, ci offrono anche un quadro suggestivo delle concezioni funerarie e religiose di questo popolo e mostrano come le grotticelle artificiali non fossero solo luoghi di sepoltura, ma anche luoghi di culto (Ipogei di Sa Pranèdda-Ottana, di Noeddàle-Ossi, di Corongiu e di S’Acqua salida-Pimentel e di Mandra Antine-Thiesi).
La loro religione, basata sul culto della fecondità, espressione di una civiltà di tipo agricolo, ha come figura centrale quella Dea Madre, di origine orientale, affiancata talvolta da un dio maschio, il Dio Toro, simbolo anch’esso di fertilità. Oggetti di culto sono quindi i numerosissimi idoletti femminili risalenti anche al neolitico medio: la statuetta di Su Cungiau de Marcu-Decimoputzu, gli idoli in osso di M. Miana-Santadi, quelli in marmo di Turriga-Senorbi e quelli in arenarie e granito di Sa Mandara-Samassi; le statue – steli plurimammelate, le pròtomi taurine stilizzate, le grandi pietre fitte (i menhirs fallici), la cui più vasta concentrazione si ha a Goni, presso la grande necropoli megalitica di Pranu Mutteddu.
Grandiosa testimonianza di architettura religiosa è anche la grande torre ziqqurath di Monte d’Accòddi, anch’essa di tipo orientale, presso il villaggio-santuario tra Sassari e Porto Torres.
La cultura di San Michele è diffusa in tutta l’isola, ad eccezione di una zona a Nord, la Gallura, dove è sorta la cultura chiamata corso-gallurese o di Arzachena o dei circoli megalitici. Questa cultura deve il suo nome ad una cinquantina di monumenti funerari distribuiti nella zona di Arzachena e di Olbia, costituiti da un circolo di lastroni infitti nel terreno, racchiudenti una cista dolmenica di grandi dimensioni. L’elemento del circolo e quello del dolmen (i dolmens della Gallura non sono gli unici in Sardegna; ne abbiamo circa un centinaio nelle zone di altopiano: il più grande è quello di Sa Coveccàda – Mores) sono tipici di ambienti pastorali e pastorale infatti era la cultura dei circoli. I suoi uomini vivevano in ripari sotto roccia, seppellivano i loro morti anche in grotte e conducevano una vita semplice ed elementare, ben diversa da quella delle popolazioni delle zone agricole: questo dato è testimoniato anche dalle suppellettili rozze ed inornate, frutto di un’economia povera, di sopravvivenza.
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