Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA
Maria Antonietta Pilia: Preistoria e protostoria
La cultura di San Michele di Ozieri si spegne lentamente nel corso del III millennio. A questa si sovrappone alla fine del III millennio una nuova cultura, quella detta di Monte Claro, dal nome di un colle nei pressi di Cagliari dove, scavando una grotticella artificiale, gli archeologi hanno trovato manufatti tra i più significativi di questa cultura che, considerata in passato tipica della Sardegna meridionale, grazie ai nuovi scavi archeologici, si mostra invece molto diffusa in tutta l’isola.
Le popolazioni “Monte Claro” o si insediarono in più antichi villaggi della precedente cultura “San Michele” (Monte Ollàdiri-Monastir, San Gemiliano-Sestu, Su Cungiàu de Is Fundamentas-Simaxis), oppure costituirono nuovi villaggi di ampie dimensioni (Campu ‘e Crèsia-Simaxis, Santa Maria de Sibiòla-Serdiàna, Ruinàlis de Segafenu-Nuràminis).
Le loro ceramiche si distinguono per il notevole livello tecnico raggiunto, per la loro bellezza e per una forma di decorazione a scanalature e a solcature che è caratteristica di queste genti.
Anche nel campo della metallurgia esse appaiono più avanzate: sono stati ritrovati alcuni pugnali di rame di buona fattura in varie località, a Cagliari, a Monastir e a Serra is Araus presso San Vero Milis.
Le forme di sepoltura “Monte Claro” sono di diversi tipi: in grotticelle artificiali a “forno”, in ciste di pietra sepolte sottoterra, dove i morti appaiono rannicchiati sul lato sinistro, in domus de janas delle genti San Michele, riutilizzate. Ma l’elemento più interessante della cultura di Monte Claro è quello costituito da una costruzione megalitica (a grandi blocchi di pietra) a torre circolare situata su un’altura presso sa Korona a Villagreca, chiamata, anche se impropriamente, “Nuraghe”; impropriamente perché ancora di nuraghe vero e proprio non si tratta, anche se è già presente la struttura megalitica e quella a filari (cioè con disposizione dei blocchi di pietra per file sovrapposte), che saranno tipiche dei nuraghi propriamente detti; si trattava con molte probabilità di un’opera di guardia e di difesa del vicino villaggio di Santa Maria, antesignana dei successivi nuraghi. Gli stessi interessanti problemi di Sa Corona li pone un altro “protonuraghe“: Bruncu Madugui di Gesturi. Questi monumenti rivestono una importanza fondamentale e rappresentano un punto fermo nella storia delle origini dell’architettura difensiva e militare nuragica.
L’ultima tappa di questo excursus nell’Età del Rame in Sardegna è costituita dalla cultura detta del Vaso Campaniforme, diffusa nell’isola agli inizi del II millennio, sulla scia di un vigoroso movimento culturale e forse anche etnico di tipo occidentale, proveniente dalla penisola iberica e dalla Francia meridionale, specialmente dalla zona dei Pirenei, irradiatosi poi in tutta l’Europa. Il nome le deriva dall’elemento più caratteristico della sua produzione ceramica: il vaso o bicchiere (infatti questa cultura è detta anche beaker) a forma di campana rovesciata, che in Sardegna presenta per lo più un profilo angoloso (S. Bartolomeo, Sella del Diavolo – Cagliari).
Tipici di queste genti sono, oltre il “bicchiere”, le armi metalliche, i pugnali di selce e di rame, i bottoni di osso forati e l’abitudine agli ornamenti ed ai gioielli, tutti elementi tipici dell’ambiente pirenaico.
Dall’Inghilterra alla Sicilia, dalla Spagna all’Ungheria, questi vasi furono usati o imitati dappertutto; i popoli del vaso campaniforme contribuirono anche in Sardegna ad una sorta di lievitazione della civiltà, favorendo il suo inserimento in un ambito squisitamente occidentale ed europeo e spianando la strada a quella che sarà una cultura originale e nazionale ma tuttavia inserita in un contesto di circolazione culturale e di scambi economici di vasto respiro europeo: quella nuragica.
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