Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà  – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA

Maria Antonietta Pilia: Preistoria e protostoria

 

Sia le tombe che i santuari, ma anche i villaggi e i nuraghi, ci hanno restituito numerosi ex voto, cioè doni votivi fatti alle divinità a scopo propiziatorio: sono i famosi “bronzetti”, figurine bronzee ormai note in tutto il mondo, che costituiscono l’espressione artistica più curiosa, originale e significativa dell’arte sarda. La loro validità consiste per noi anche nel fatto che ritraggono nella loro varietà (sono circa cinquecento) la società umana nuragica: i capi tribù, gli eroi, i guerrieri, i sacerdoti, la massa del popolo nelle sfaccettature dei mestieri più differenti e degli atteggiamenti

più strani e varii, e poi gli animali, le navicelle, i modellini di edifici megalitici.

Gli studiosi hanno classificato i bronzetti in due grandi gruppi, distinguendo due precisi stili: uno geometrico, di ispirazione e forse anche di committenza aristocratico-sacerdotale, detto di Uta-Abini, e uno popolaresco, detto “barbaricino mediterraneizzante” che è più vivo e più libero e che caratterizza le figurette plebee.

Il quadro artistico della civiltà nuragica si conclude ricordando una straordinaria scoperta di questi ultimi anni: le statue in arenaria rinvenute presso il santuario di Monti Prama, in territorio di Cabras. Si tratta di simulacri di guerrieri, alti circa m. 1,60, probabilmente doni votivi, scolpiti nella pietra secondo uno stile crudamente geometrico che ricorda quello dei bronzetti di Uta-Abini.

La scoperta di queste statue amplia gli orizzonti delle nostre conoscenze della civiltà nuragica e ci permette di inserirla, anche dal punto di vista della statuaria, nel novero delle grandi civiltà del Mediterraneo.

 

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La civiltà nuragica che, iniziata – come si è visto – intorno al XIX secolo avanti Cristo, ebbe il suo apogeo tra il 1200 ed il 500, si conclude intorno al III secolo av. Cristo, nell’anno 238, data convenzionale che sigla la conquista romana della Sardegna.

Fu una cultura che durò ben sedici secoli, a sviluppo tardo, ma in grado di raggiungere buoni livelli di originalità e di grandiosità in campo architettonico e artistico.

Una civiltà “barbarica” è stata giustamente definita, ben lontana dai moduli classici di culture storiche solo parzialmente coeve come quella greca o successive come quella romana, nei cui popoli il gusto è rivolto al bello, all’armonioso, al compiuto. Chi, invece, da profano o da studioso accede al mondo nuragico è colpito dalla disarmonicità, dalla rudezza, dalla severità della società che lo produsse, in cui l’iso1amento provocato dal mare, la povertà di un territorio talmente riarso da dare origine a un culto delle acque, la fierezza e la bellicosità delle sue genti impressero una caratteristica di diversità, insieme ad un certo attardamento culturale, nonostante i numerosi contatti con popoli extrainsulari.

Pensiamo ai rapporti con i popoli orientali e con i Greci, con l’occidente, l’area centroeuropea e peninsulare, ai frequenti e comprovati rapporti con un grande popolo del mare: gli Etruschi (un reperto significativo è la navicella bronzea nuragica rinvenuta in una tomba etrusca di Vetulonia).

Si trattò di una civiltà caratterizzata dalla mancanza di un polo unitario, distrettuale, frammentaria, esasperata da opposti interessi, personalistica.

Quando arrivò a maturazione e unificò in un’unica “facies” tutti i Sardi, altri popoli di più vasta cultura egemonica ne soffocarono lo sviluppo: i primi ad intaccarne la forza furono i Cartaginesi, poi, a stroncarla ed a spegnerne le ultime velleità d’indipendenza, giunsero i Romani.

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