Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA
Francesco Cesare Casula: Il medioevo
Il giudicato di Gallura fu invece quasi sempre sotto l’influsso di Pisa. Ebbe una vita oscura, e sono poco note le vicende dei suoi sovrani indigeni della Casata degli Spanu e dei Lacon-Gunale. Nel 1207 l’erede Elena, sposando Lamberto Visconti, diede origine a quella dinastia viscontea di Gallura che terminò di fatto nel 1288 quando l’ultimo sovrano, Nino, caduto in disgrazia a Pisa per i noti torbidi ugoliniani ricordati da Dante, fu costretto a fuggire a Genova e perse anche il giudicato sardo, che divenne un territorio oltremarino della Repubblica dell’Arno. Nino mori nel 1298.
L’Arborea durò molto più a lungo: di fatto fino al 1410, di diritto fino al 1420.
Ebbe ventuno generazioni di sovrani noti, delle casatc dei Lacon-Gunale, Lacon-Serra, Bas-Serra, Doria-Bas, Narbona-Bas.
La sua storia negli ultimi due secoli del Medioevo si intreccia con quella singolare del “regno di Sardegna e Corsica”, come abbiamo raccontato nel recente volume: Profilo Storico della Sardegna catalano-aragonese, un libro che vuol dimostrare come la nostra regione sia speciale rispetto alle altre regioni italiane perché dalle sue vicende di stato-nazione nacquero l’Italia risorgimentale e la Spagna moderna.
Questo capitolo della storia sarda prese l’avvio a Roma il 4 aprile 1297 quando il papa Bonifacio VIII, per risolvere il problema della guerra del Vespro e per rimuovere una della maggiori cause di lotta fra Pisa e Genova, compì “motu proprio” due atti in uno: creò un ipotetico “regno di Sardegna e Corsica”, lo infeudò nominalmente – e sappiamo il perché al catalano Giacomo II, re di Aragona e di Valenza, conte di Barcellona, il quale, per realizzarlo, lo doveva conquistare.
Prima d’allora, altre volte erano stati istituiti in Italia, in Europa e nel Vicino Oriente regni teorici dal Papato e dall’Impero secondo le cosiddette dottrine “Omninsular“ e del “Verus Imperator”, compreso in Sardegna ai tempi di Gregorio VIII e di Federico II di Svevia, però soltanto con Bonifacio VIII si ebbe la costituzione speculativa di un “regno di Sardegna e Corsica” composto – si badi bene – non dal territorio ma dal nome delle due isole.
Le isole fisiche, come sappiamo, erano politicamente e istituzionalmente conformate, e nei loro confronti il papa dava, in pratica (come fanno le Grandi Potenze), solo una licentia invadendi, cioè il consenso guelfo anche le terre potessero essere occupate con la forza a scapito delle entità
statali e giuridiche esistenti. All’inizio si trattò di una conquista limitata ai soli territori sardo-pisani di Cagliari e di Gallura i quali, in tre anni di campagna militare – dal 12 giugno 1323 al 9 giugno 1326 – divennero insieme a Sassari e al suo territorio la forma espressiva del “regno di Sardegna e Corsica”, ovvero sia la Sardegna catalano-aragonese, feudale e reale, divisa amministrativamente nei Capi di Cagliari-Gallura e di Logudoro.
Per alcuni decenni questo “regno” sardo-iberico (che attraverso tortuose strade terminò nel 1861, dopo aver “condotto” il Risorgimento italiano), convisse pacificamente con le altre entità politiche e statali dell’iso1a.
Coi Doria, coi Malaspina, coi Donoratico e col giudicato d’Arborea i suoi re (gli stessi della Corona d’Aragona residenti a Barcellona) avevano firmato una serie d’accordi feudali che non limitavano la sovranità delle entità contraenti ma si rivolgevano privatamente ai signori che accettavano di farsi “vassalli” in cambio di riconoscimenti e protezione.
Poi, col passare del tempo, per diverse ragioni, i patti si ruppero e ci fu un lungo periodo di difficili guerre terminate con la vittoria definitiva del “regno di Sardegna e Corsica”, nel XV secolo.
D’allora l’isola divenne un mondo iberico: aragonese fino al 1479, spagnolo fino al 1718-20; è la Sardegna dei “Quattro mori”, del folklore delle “cavalcate”, della nobiltà cagliaritana, dell’immobilismo più retrivo, dal quale ancora oggi non si è del tutto riscattata.
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