Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà  – CAPITOLO III – CULTURA E ARTE

Giulio Paulis: Storia linguistica dell’area campidanese

 
La colonizzazione romana
 

Come accadde di norma nelle altre aree del mondo romanzo, il latino, introdotto in Sardegna con la conquista romana del 238 a.C., soppiantò lentamente, ma definitivamente, le varie lingue preromane parlate nell’isola, sicché il sardo attuale è la continuazione diretta della lingua di Roma. Non si può dire che, a tutt’oggi, si conoscano bene i modi, le vie e i tempi della romanizzazione della Sardegna. È certo, comunque, che essa – inizialmente affidata a presidi militari ed a colonie di veterani, e quindi di tipo essenzialmente rurale dovette essere più intensa e rapida nella parte meridionale, ove più facilmente si irradiavano le novità e le mode linguistiche provenienti dal capoluogo, Cagliari; appare altresì sempre più evidente, alla luce della distribuzione geografica dei ritrovamenti archeologici ed epigrafici, che anche le zone interne e montane dell’isola subirono la diretta penetrazione linguistico-culturale romana.

A quest’epoca risalgono i primi sicuri indizi di una divisione dialettale della Sardegna in due aree, meridionale e settentrionale, che corrisponde sostanzialmente all’attuale assetto linguistico isolano. Emblematico è il caso dei vocaboli sardi per ‘porta’, che risalgono al lat. janua e jenua. Nei documenti logudoresi antichi prevale janua, anzi in alcuni di essi è l’unica forma attestata, mentre nelle antiche carte campidanesi, e cose pure nella Carta de Logu, si hanno soltanto forme derivate da jenua. Identica è la ripartizione odierna delle forme: tutto il Campidano, sino a Bonarcado, Norbello, Ollolai, Gavoi, Fonni e Dorgali, ha il tipo ènna, gènna, yènna; a Nord, domina invece yánna, giánna, ecc. Questa situazione si spiega col fatto che, dopo l’introduzione della forma latina più antica janua, rimasta nelle regioni più conservate dell’isola, donde poi si irradiò verosimilmente verso settentrione, giunse in Sardegna, con un’ondata seriore, la variante più recente jenua (con e al posto di a, per influsso della j- iniziale), la quale riuscì a imporsi nella pianura campidanese, più vicina alla capitale ed economicamente più progredita, ma non ebbe la forza di raggiungere le zone montagnose dell’interno. Una ripartizione analoga del territorio linguistico isolano, risalente al sovrapporsi di diversi strati della latinizzazione, mostrano le parole per ‘elce’ (il Sud dell’isola continua con ílizhi il latino ilice, nel centro e a settentrione ha prevalso dialettale elice, che ha dato élike, élighe, ecc.), per forno (nel meridione e nelle Barbagie sopravvive il lat. fornus » fórru, nel resto del Centro e a Nord è continuata la variante dialettale latina furnus » fúrru), il verbo ‘fare’ (nei dialetti centrali e settentrionali è rimasto il lat. facere, nel meridione è subentrata l’innovazione tardo-latina *fagere, con -g- in luogo di -c-, per analogia con il verbo agere), il pronome di 3ª persona (il logudorese ha forme con la consonante l scempia, che sono le usuali nelle lingue romanze: li, lis ( = illi, illis); lu, la, los, las; ili, ilu in logudorese antico dopo consonante; invece, le forme campidanesi antiche e moderne (i)lli, ddi, ddis, ddu, dda, ecc. presuppongono una variante con -ll-, che si deve postulare anche per il numero antico); il pronome possessivo di la persona singolare (nel Bittese e nel Nuorese, il femminile mea rimanda ad una fase molto arcaica conservata anche in rumeno, invece la forma mia del campidanese e degli altri dialetti rispecchia una fase successiva della latinità), ecc.

Solitamente la Sardegna meridionale accoglie le forme più recenti e, con una tendenza che andrà accentuandosi negli sviluppi successivi della sua storia linguistica, si mostra meno conservativa dei dialetti centrali; comunque, non va dimenticato che essa mantiene anche forme arcaiche, com’è il caso, già visto, di fornus o quello del sostantivo per ‘cenere’, che ancor oggi nel Sulcis continua il lat. cinus, un neutro attestato in glosse e in altri testi, mentre nel resto del sardo, con esclusione delle altre aree campidanesi che anticamente dovevano comportarsi come il Sulcis, sopravvive l’innovazione *cinisia, presente anche in altre regioni romanze; inoltre sempre il Sulcis mantiene una traccia dell’antico perfetto (1ª sing. kantái, pod_éi, ecc.), altrimenti scomparso in sardo, eccezion fatta per alcune località tra Bosa e Oristano e per la Baronia; anche altre zone periferiche della Sardegna meridionale, come l’Ogliastra e il Sarrabus, presentano, in alcuni centri, notevoli tratti conservativi, quali, p.es., il suono th (come l’inglese think) in pèththa ‘carne’, máththa ‘pancia’, al pari delle contrade più arcaiche del Nuorese e della Sardegna centro-orientale.

Seguendo l’espansione geografica delle innovazioni d’età latina interessanti la Sardegna meridionale ed estendentisi sino alle Barbagie (vedi l’esempio di jenua, già accennato), si è individuato in Cagliari l’epicentro del fenomeno e nelle strade romane che congiungevano la capitale con Olbia uno dei canali più importanti di diffusione; altri fatti messi in luce dalla geografia linguistica – come il costante ritrarsi verso la costa orientale di tutte le forme più conservative, per effetto di una costante pressione da occidente verso oriente – mostrano che doveva esistere anche una porta occidentale aperta alla penetrazione del latino, lungo le vie che attraversano l’isola da Ovest ad Est.

 

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