Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà  – CAPITOLO I – GEOGRAFIA E TERRITORIO

Angela Terrosu Assole: Geologia della Sardegna meridionale

 
La possibilità di inglobare forti quantitativi di acqua dà alle masse calcaree la connotazione di riserve idriche naturali. Un pregio notevolissimo data la penuria di acqua che oggi affligge la Sardegna. Purtroppo la provincia di Cagliari ne possiede poche, in pratica solo quelle formatesi nel Sulcis-Iglesiente durante il Paleozoico.

L’opera di saldatura e di complemento della superficie della Sardegna meridionale andava lentamente proseguendo con l’emersione, avvenuta all’inizio del Terziario, dei terreni ricchi di banchi carboniferi del Sulcis occidentale (bacino carbonifero di Carbonia) quando fu costretto bruscamente ad arrestarsi per il subentrare di un momento molto tormentato. Per rendersene conto è sufficiente pensare che in questo momento la fascia dei Mediterranei, ossia quella che comprende i Mediterranei latino, cinese, e americano fu interessata da un ciclo di perturbazioni di vario genere (terremoti, esplosioni vulcaniche, spinte orizzontali e verticali) solitamente ricordato con la definizione di “ciclo dell’orogenesi (nascita di montagne) alpina”. Per effetto ditali spinte si ebbe infatti la nascita di più catene montuose: l’Atlante, i Pirenei, le Alpi, l’Appennino, i Carpazi, il Caucaso, l’Himalaia, le Ande, le Montagne rocciose.

L’area circostante il tratto occidentale del Mediterraneo latino, quella che si svolge intorno alla Sardegna, ne risultò particolarmente interessata. Ciononostante la nostra isola non registrò piegamenti. A impedirlo fu la durezza del substrato granitico che, come si è detto, ne costituiva la base portante sin dal Paleozoico. Piuttosto la Sardegna, seguendo il comportamento che è proprio di tutti i corpi accentuatamente duri e rigidi, si ruppe secondo linee di frattura variamente orientate. Una di queste fratture provocò il distacco dell’area corrispondente alle attuali isole di San Pietro e di Sant’Antioco le quali da allora costituiscono, assieme a taluni isolotti minori (il Toro, la Vacca, il Vitello, ecc.) l’arcipelago sulcitano. Altre fratture, originando l’incisione successivamente percorsa dal Rio Cixerri, operarono la separazione tra il Sulcis e l’Iglesiente. Altre ancora, certamente le più lunghe e forse anche le più profonde, percorsero tutta l’isola sino a congiungere, col loro andamento grosso modo parallelo, gli attuali Golfi di Cagliari e dell’Asinara.

Tutta la vasta area, sia già emersa sia ancora sommersa, che giaceva tra i solchi creati da queste ultime fratture si venne così a trovare senza adeguato sostegno e per conseguenza sprofondò consentendo all’acqua marina di subentrare al suo posto e darle la configurazione di un lungo canale.

Oggi questo canale non esiste più. Lo ha eliminato una grandiosa colmata naturale cui hanno contribuito più tipi di apporti: lave vulcaniche, depositi formatisi in ambiente marino e successivamente costretti ad emergere da spinte verticali, depositi dovuti al convergervi di materiali provenienti dalle terre circostanti.

Nella Sardegna settentrionale hanno prevalso i due primi tipi di apporti, mentre nella Sardegna meridionale dove, tra l’altro, per effetto di ulteriori fratturazioni si ebbe il formarsi, all’interno del precedente, di un nuovo canale che mise in diretta comunicazione il Golfo di Cagliari con quello di Oristano, gli apporti sono stati di tutti e tre i tipi.

Dall’osservazione dei terreni risulta che nel tratto più orientale del primo canale, ossia nell’area compresa tra l’attuale Campidano e le alture del Sarrabus e del Gerrei, il contributo maggiore è stato dato dall’emergere di sedimenti formatasi in un ambiente marino poco profondo grazie ad apporti di natura nel contempo marina e terrigena (calcari misti e sabbie o ad argille della Trexenta, della Marmilla e del Parteolla). Ne è derivato il paesaggio caratterizzato da morbide ondulazioni che ancora oggi è proprio delle sopraddette regioni.
 

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