Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA
Giancarlo Sorgia
Le vicende moderne
L’inizio di quella che comunemente viene definita epoca moderna, coincide quasi perfettamente in Sardegna con il passaggio dell’Isola dalla dominazione aragonese a quella della Corona di Spagna.
Alla morte di Giovanni II d’Aragona, avvenuta nel 1479, si era realizzata infatti l’unione dei due più importanti regni della penisola iberica le cui premesse risalivano a qualche anno prima per il matrimonio di Ferdinando, figlio di Giovanni, e Isabella erede al trono di Castiglia.
In Sardegna, una volta sconfitto definitivamente Leonardo Alagon, si conobbero quasi in tutta la loro ampiezza le linee di condotta unitaria volute dai due sovrani per tutti i regni della Corona al fine di dare uniformità a quello che, nella loro concezione, doveva caratterizzare lo Stato moderno.
Per ottenere tali risultati i sovrani ritennero opportuno impostare una politica interna nuova, caratterizzata da profonde riforme istituzionali capaci di garantire un più accentuato controllo della vita pubblica.
Nel 1492 anche in Sardegna furono eseguiti gli ordini di Ferdinando il Cattolico che aveva imposto agli Ebrei di lasciare i regni della Corona, come pure fu rinnovata l’Inquisizione che divenne simile a quella spagnola basata sugli ordinamenti del famoso inquisitore Tomaso de Torquemada.
Alcuni anni più tardi anche a Cagliari e nelle altre città reali dell’Isola fu introdotto il sistema del sorteggio per la costituzione dei Consigli comunali, e all’antico sistema dell’elezione si sostituì quello dell’estrazione a sorte tra le persone iscritte in una lista preventivamente approvata dal sovrano, e ciò limitò notevolmente l’autonomia degli amministratori cittadini.
Nel secolo XVI, ai numerosi problemi economico-sociali che da secoli gravavano sulla vita isolana, si aggiunsero quelli derivanti delle complesse vicende politiche mediterranee ed europee.
La lotta contro i Turchi e i pirati barbareschi dell’Africa del Nord rappresentò una dura realtà quotidiana. Nel 1509, ad esempio, fu attaccato e saccheggiato il villaggio di Cabras e analoga sorte subirono quelli di Lodè e Torpè nella costa orientale.
Il periodico ripetersi delle incursioni non trovò immediati rimedi di qualche efficacia, tanto che può dirsi come furono veramente poche le località costiere isolane risparmiate. Fallito un primo tentativo di eliminare le basi da cui provenivano gli attacchi, lo stesso imperatore Carlo V, diventato re di Spagna, esaminò il problema della difesa in modo globale anche perché nel 1521 l’area mediterranea era diventata ancor più insicura per le ostilità di Francesco I di Francia.
Nel 1527 il lungo contrasto tra i due sovrani ebbe diretta ripercussione in Sardegna quando un contingente francese sbarcò nelle coste settentrionali appoggiato dalla flotta di Andrea Doria, in quel momento alleato di Francesco I. Dalle spiagge di Longosardo dove erano sbarcati, i circa
quattromila invasori si diressero verso Castellaragonese, ma furono respinti; meno fortunata fu invece la città di Sassari che venne saccheggiata ed occupata per diverso tempo, fino a quando, cioè, non fu possibile organizzare un contrattacco che costrinse i francesi a ritirarsi.
Altrettanto inutili si rivelarono diverse altre spedizioni contro le basi barbaresche dell’Africa e quando, nel 1542, un nuovo attacco contro alcune località della Sardegna settentrionale fu respinto con grande difficoltà, si pensò di realizzare un adeguato sistema difensivo che fosse in grado di proteggere almeno le zone più esposte.
Dopo l’abdicazione di Carlo V (1556), a raccogliere l’eredità dei problemi mediterranei fu suo figlio Filippo II e, di fronte all’audacia crescente dei musulmani, fu deciso di ricorrere alla costruzione su vasta scala di torri costiere presidiate dai soldati e munite di cannoni, spingarde e altre armi da fuoco; per la loro realizzazione fu necessario ricorrere ad imposizioni fiscali straordinarie che finirono per pesare ancora di più sull’economia isolana.
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