Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà  – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA

Giancarlo Sorgia: Le vicende moderne

 

Poiché il regno di Sardegna mancava di una propria squadra navale, il compito di vigilare sui mari fu affidato alle galee spagnole, napoletane, genovesi e dei Cavalieri di Malta, ma tutto ciò non fu sufficiente ad evitare altri attacchi.

Agli inizi del secolo XVII, il nuovo sovrano Filippo III (1598-1621) si preoccupò di conoscere meglio le condizioni della Sardegna e di controllare l’operato dei funzionari e degli ufficiali regi; con questo scopo affidò l’incarico di Visitatore generale ad una persona di sua fiducia, il canonico della cattedrale di Saragozza Martin Carrillo, il quale agi con coraggio ed intransigenza.

Testimonianza significativa del soggiorno del Carrillo nell’Isola fu nel 1612 la pubblicazione di un’ampia nota sulle condizioni politiche, sociali, economiche e culturali del regno che contiene considerazioni di grande interesse. A parte la carente organizzazione difensiva, egli segnalò infatti come l’economia sarda fosse in crisi per il disinteresse delle autorità e per gli abusi degli ufficiali regi e feudali, mettendo in risalto inoltre la poca correttezza di molti funzionari governativi anche ad altissimo livello; non mancò, infine, di denunciare lo stato di corruzione di quanti avevano il compito di amministrare la giustizia.

Durante il regno di Filippo IV (1621-1665), si combatté in Sardegna un episodio marginale della guerra dei Trent’Anni; nel 1637 un contingente di soldati francesi sbarco nei pressi di Oristano e dopo un violento bombardamento dal mare la città fu occupata e saccheggiata. Soltanto dopo alcuni giorni fu possibile organizzare i reparti di miliziani per la riconquista del centro arborense, ma la determinazione delle truppe isolane ebbe la meglio ed i francesi dovettero reimbarcarsi dopo aver subito notevoli perdite. L’anno successivo, proprio in conseguenza di quell’avvenimento che era un segnale da non sottovalutare, Filippo IV si accordò con Giovanni Andrea Doria, principe di Melfi, per l’organizzazione di una squadra navale sarda composta di otto galee; di queste, però, nonostante il pesante impegno finanziario isolano, ne furono costruite soltanto tre e i problemi della difesa rimasero praticamente insoluti.

Qualche anno dopo la seconda metà del Seicento, si manifestarono in maniera sempre più grave i contrasti tra la nobiltà isolana, ormai notevolmente attenta ai problemi della realtà locale, e quella iberica, interessata soltanto ai profitti delle rendite feudali; il culmine di tali contrasti fu raggiunto nel 1668 con l’uccisione del marchese di Laconi don Antonio di Castelvì e poco dopo, si disse per ritorsione, venne assassinato lo stesso viceré di Sardegna don Emanuele de Los Cobos, marchese di Camarassa.

La severa repressione del governo spagnolo, sottolineata dall’invio di forti contingenti di truppe e da molte condanne a morte, non risolse la situazione, anzi acuì la reazione dei nobili isolani, ormai coscienti dei loro diritti, i quali chiedevano per la Sardegna il riconoscimento di una certa autonomia specie per il governo degli affari interni.

Il regime di terrore instaurato dal nuovo viceré, duca di San Germano, se pure servì da deterrente, non modificò di certo la crisi interna del regno e di lì a poco ebbe termine la dominazione spagnola, mentre l’Isola si dibatteva tra problemi gravissimi causati dal ripetersi di pestilenze e di carestie.

Una eloquente testimonianza della povertà e delle modeste condizioni di vita di contadini e pastori viene dagli inventari di beni allegati agli atti notarili del tempo; le cose composte da uno o due ambienti, erano costruite in pietra locale oppure in mattoni di terra argillosa impastata con paglia.

Se modeste erano le strutture, ugualmente modesto e ridotto all’essenziale era l’arredamento: misere suppellettili, una cassapanca per la biancheria, un tavolo, alcune sedie, mentre i letti avevano per materassi sacconi riempiti di foglie di grano turco o stuoie.

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