Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà  – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA

Giancarlo Sorgia: Le vicende moderne

 

L’effettiva presa in possesso avvenne nel 1720, e i rappresentanti del re sabaudo non nascosero le loro preoccupazioni per la condizione in cui avevano trovato l’Isola. Ciò accrebbe in Vittorio Amedeo II la segreta speranza di cedere al più presto la Sardegna; tra l’altro, il Trattato di Londra aveva stabilito che i nuovi sovrani avrebbero dovuto rispettare i privilegi spagnoli vigenti nell’Isola, conservando anche le strutture della costituzione feudale, e ciò rendeva quanto mai problematica ogni iniziativa di innovazione.

Fortemente condizionato da tali imposizioni il sovrano sabaudo si limitò a pochi interventi, e fu soltanto il suo successore Carlo Emanuele III (1730-1773), con la collaborazione del ministro Giambattista Bogino, a dare avvio a riforme di una certa importanza. Fu infatti meglio regolata l’amministrazione della giustizia, ebbero incremento i Monti frumentari per soccorrere i contadini in difficoltà, fu favorita la coltivazione dell’olivo, del gelso e del tabacco, fu tentato il popolamento di alcune zone disabitate, che riuscì soprattutto nell’Isola di San Pietro concessa ad un gruppo di coloni liguri provenienti da Tabarca.

Verso la fine del lungo regno di Carlo Emanuele III si provvide anche ad una riforma dei Consigli civici per le città non infeudate, e fu deciso contemporaneamente di istituire in ogni villa appartenente alla giurisdizione feudale uno speciale Consiglio elettivo con competenze sugli affari e gli interessi delle comunità, una volta completamente in balia dei feudatari e degli stessi ufficiali di governo. La composizione di tali consessi, chiamati Consigli comunitativi, e che in realtà erano dei piccoli consigli comunali, era strettamente legata al numero degli abitanti; così, le ville con 200 famiglie avevano sette consiglieri, quelle con oltre 100 ne avevano cinque, mentre 3 erano i consiglieri delle ville con almeno venti famiglie.

Tra il 1792 e il 1793, la Francia tentò di occupare la Sardegna ed organizzò una spedizione militare comandata dall’ammiraglio Truguet. L’attacco fu condotto su due fronti: uno nella parte settentrionale dell’Isola ed un altro nella meridionale, tra il golfo di Palmas l’intera zona del golfo di Cagliari.

Dopo alcune fasi alterne, che videro i francesi impossessarsi di Sant’Antioco e Carloforte, come pure minacciare direttamente Iglesias e la stessa Cagliari, l’accanita resistenza dei Sardi ebbe ragione degli attaccanti. Come ricompensa della loro fedeltà e del loro coraggio, gli isolani rinnovarono al Vittorio Amedeo III (1773-1796) la richiesta per il conferimento ai nativi di tutti gli impieghi militari e civili, eccettuate la carica di viceré, e per la creazione a Cagliari di un Consiglio di Stato come organo consultivo dello stesso viceré, per trattare e risolvere in sede locale almeno gli affari di ordinaria amministrazione.

Il ritardo nel dare riscontro a quelle richieste fece nascere il sospetto che il governo cercasse di prendere tempo prima di rispondere negativamente, e ciò provocò un vivo malcontento; il 28 aprile del 1794, ritenendo inutile ogni indugio, il popolo cagliaritano passò all’azione assumendo un radicale atteggiamento antipiemontese: ad eccezione dell’arcivescovo di Cagliari, furono cacciati e costretti ad imbarcarsi tutti i piemontesi residenti in città. A quell’avvenimento si aggiunsero nel 1795 altri fatti importanti; gravi contrasti fra opposte fazioni della nobiltà portarono all’uccisione dell’intendente generale Gerolamo Pitzolo e del generale delle Armi marchese Paliacio della Planargia. Intanto, particolarmente nelle campagne, serpeggiava un profondo stato di malessere per le condizioni di miseria generalizzata, attribuito in buona parte ai gravami feudali. E questo disagio si manifestò ancor più apertamente nel 1796 con una rivolta cui parteciparono, insieme con i vassalli, numerosi appartenenti al basso clero, parte della borghesia e persino alcuni nobili.

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