Le collezioni di Palazzo Regio

 
 

Gli argenti

La conoscenza sulla reale entità della collezione di Palazzo Regio ha stimolato da sempre, sopratutto nei cagliaritani, una forte curiosità. Nell’immaginario collettivo si è creata l’idea che i Savoia avessero lasciato un vero e proprio patrimonio, una volta concluso il loro soggiorno nell’lsola protrattosi fino al 1814.
La collezione, diminuita certamente in seguito ai vari passaggi di consegne e alle alterne vicende che hanno interessato il palazzo, tra cui addirittura un’asta pubblica svoltasi a metà dell’800, è costituita, allo stato attuale, principalmente da servizi da tavola, in argento di due bontà (950 millesimi e 800 millesimi) lavorato a sbalzo, cesello o a fusione, che possono essere ricondotti per grandi nuclei a tre diversi argentieri e alle relative botteghe.
La data di realizzazione di questi servizi può essere determinata tra il 1824 e il 1873, due termini cronologici precisi entro cui furono in uso la maggior parte dei marchi che gli oggetti presentano, secondo le leggi che regolamentavano la produzione e il commercio dei manufatti d’argento in vigore negli Stati Sabaudi.
Sebbene le opere siano state già studiate, pubblicate, catalogate sia dalla Soprintendenza ai Beni A.A.A.S. per le province di Cagliari e Qristano che dalla Regione Autonoma della Sardegna, nell’ambito del progetto “Indagine conoscitiva sui beni culturali”, ad una analisi ulteriore esse hanno riservato delle novità, resti tuendo il nome di un quarto argentiere e il marchio di un quinto, per il quale si propone una ipotesi di identificazione.

La documentazione d’archivio reperita a tutt’oggi sulla storia dell’argenteria è ancora parziale. Il primo riferimento documentario interessante si trova nelllinventario del 1843, “Descrizione dei mobili, argenteria, lingeria ed effetti e appartenenti al Regio Palazzo”, conservato presso l’Archivio di Stato di Cagliari, dove compare un elenco di argenti che, oltre ai servizi di posate, da caffè e da tè, presumibilmente quelli che ancora esistono, comprende altri oggetti non più reperibili, come tutti gli accessori per l’illuminazione tra cui “due mochette colle bacilotte”, gli smoccolatoi, e “4 girandole”, candelabri circolari.
I successivi riferimenti si rintracciano nell’Archivio storico della Provincia. Nei “Registri delle deliberazioni della Deputazione Provinciale”, relativi agli anni 1884 e 1885, risulta che la Deputazione discute in diverse sedute l’acquisto del Palazzo Regio.
In particolare, nella seduta del 4 marzo 1885, si delibera l’acquisto dell’edificio storico, dei mobili e nell’argenteria, così come si può leggere nel verbale al punto 407: «Quindi (la Deputazione, n.d.r) prende in esame la lettera dell’onorevole Salaris con cui fa conoscere le condizioni proposte dal Ministero delle Finanze per l’acquisto del Regio Palazzo, argenteria e mobili, cioè £ 150 m. per prezzo palazzo e pigioni scadute da pagarsi in sei rate annuali, la prima in rogito e gli interessi scalari, e £ 1.633, 62 per prezzo mobili e argenteria.
Ed in merito delibera di accettare le proposte medesime autorizzando fin d’ora che vengano confermate ufficialmente di stipularsi il contratto.
Contemporaneamente manda ringraziarsi l’onorevole Salaris dell’interessamento che si prese per la conduzione dell’affare».
Nel verbale della seduta del 9 marzo, al punto 409, è conferito l’incarico ai deputati avvocato Antonio Ballero e avvocato Felice Sanna Manunta di redigere la bozza dell’atto, in accordo con l’intendente di Finanza.
Nelle successive sedute di maggio, agosto e settembre costantemente la Deputazione segue l’evolversi della vicenda fino a giungere alla seduta del 17 novembre 1885, nella quale si delegano i deputati Ballero e Sanna Manunta a rappresentare la Provincia nella stipula del contratto, che si svolgerà il giorno seguente, e si stabilisce il versamento della prima rata del prezzo d’acquisto in £ 26.633,62 nonché £ 4.500 per deposito di spese contrattuali. La cifra da versare è comprensiva dell’importo di £ 1.633,62 stimato per l’acquisto dell’argenteria e dei mobili; in tale occasione, probabilmente, fu redatto un dettagliato inventario delle opere.
Presso il medesimo Archivo storico sono custoditi i documenti redatti tra il 1948 e il 1949. Nel verbale del 2 ottobre 1948, stilato in occasione della verifica e presa in carico delle opere da parte dell’Economato provinciale, in presenza della vice commissaria prefettizia dott.ssa Maria Brotzu e dell’economo signor Almerindo Orofino, risulta che dal 1943 l’argenteria era sistemata in due casse di legno custodite dalle suore del Brefotrofio provinciale, secondo la testimonianza della Superiora suor Maria Cuniberti.

Il verbale comprende l’inventario dei pezzi, che vengono di nuovo affidati prowisoriamente alle suore.
Nella seduta del 5 novembre 1948, n. 2073, la Deputazione delibera, “al fine di assicurare la più rigorosa custodia degli oggetti”, di autorizzare il deposito presso la Banca Commerciale Italiana, dietro la corresponsione di .£ 3.000 e la tassa di assicurazione di £ 1.000. Nella relazione del 3 novembre 1948 si dispone di fornire le casse di piastre di ferro a cerniera da chiudersi con lucchetti. Il deposito presso la banca è effettuato il 29 luglio 1949, come dal verbale del 6 agosto contenente il dettagliato inventario da cui risultano tutti gli oggetti che oggi costituiscono la collezione. La Deputazione delibera, inoltre, per l’eventuale apertura delle casse e il prelievo dell’argenteria, una rigida procedura, che tutt’ora l’amministrazione provinciale è tenuta a rispettare, che prevede la presenza contemporanea di un funzionario contabile, di un amministratore provinciale e, all’epoca, dell’economo dell’Ospedale psichiatrico.

La collezione, il cui valore storico e artistico ricopre un’importanza notevole non solo per la Sardegna, viene presentata secondo la divisione in nuclei appartenenti al medesimo argentiere.

Un primo nucleo è stato realizzato dalla bottega dell’orafo argentiere Martial Fray di Parigi, la cui attività è documentata dal 1849 al1861.
Si tratta di due servizi da tè e caffè, completi di zuccheriera e di lattiera, di dimensioni grande e media, disegnati secondo l’imitazione di forme vegetali con un chiaro gusto per la citazione tardo-barocca e rococò diffusasi nella metà dell’Ottocento (scheda 1). Le caffettiere, le teiere, le zuccheriere, le lattiere hanno piedi a zampa leonina terminanti in foglie. Il corpo bombato, con costolature verticali, prende la forma di una zucca, alludendo alla funzione di contenitore per liquidi. Il versatoio ha attacco a campanula come fosse un fiore di zucchina; il manico, in legno nero, è a voluta con attacco a ricciolo e il coperchio è circolare con frutticino apicale, che sorge da una base di fogliette cuoriformi lobate e funge da pomolo.
La medesima bottega realizza una coppia di salsiere con relativo vassoio, più sobri nelle forme e nel decoro (scheda 2). La salsiera ha piede circolare gradonato, corpo a coppa allungata e manico a voluta vegetale, unica concessione a forme decorative. Il vassoio è ovale. Ancora due servizi di ampolliere, in argento e cristallo, di cui uno quasi integro, mentre del secondo risulta fratturato il collo dell’ampolla per l’olio e staccato il manico dell’ampolla per l’aceto (scheda 3). Infine una serie di sottocoppa di 18 pezzi, dal diametro di 12 cm, di forma leggermente svasata con profilo liscio e bordo estroflesso (scheda 4). In tutti i pezzi è applicato lo stemma sabaudo.
La paternità di tutti questi oggetti all’argentiere Martial Fray è dichiarata dalla presenza del punzone di bottega impresso in ognuno di essi, nel fondo o nel bordo. Esso è costituito dall’iniziale puntata del nome seguita per intero dal cognome e da una stelli na, inscritti in una losanga (figg. 2, 3).

Al famoso argentiere torinese Carlo Balbino si riferisce un servizio di posate da tavola, in argento fuso, costituito da 5.8 forchette da frutta, 29 forchette, 58 cucchiai, due piccoli mestoli per salsa, lunghi appena 12 cm dalle linee essenziali, sfilate e lisce; i 60 coltelli, invece, presentano per la foggia del manico un chiaro riferimento stilistico a modelli francesi (scheda 6). Un’analogo servizio di 110 coltelli fa parte della collezione di argenteria sabauda, marchiato da un diverso argentiere, di proprietà della Provincia di Genova, esposta permanentemente a Palazzo Spinola di Pellicceria.
Appartiene alla medesima bottega un servizio di 22 sottobottiglia, 8 sottobicchiere, 30 sottocoppa di forma cilindrica con perlinatura nel bordo, per un totale di 60 pezzi (scheda 5).
In tutti è presente il punzone dell’argentiere costituito dalle iniziali del nome e del cognome C e B maiuscole tra un leoncino passante volto a sinistra entro un profilo ovale liscio (fig. 1) o una losanga.
La vicenda biografica di Carlo Balbino è documentata e ricca di riconoscimenti e premi. Nasce a Torino il 17 ottobre 1777 . Nel 1814 quando ricopre la carica di consigliere nella corporazione, riceve pagamenti consistenti dalla committenza di casa Savoia.
Nel 1824, seguendo le norme della corporazione, deposita il marchio Tra il 1831 e il 1834 sono documentati importanti incarichi.
Nel 1847 diventa orefice di Sua Maestà Carlo Alberto e tale attività lo impegna dal 1849 al 1867. Nella collezione degli argenti di Palazzo Reale a Torino si conserva un servizio da viaggio, in argento sbalzato, cesellato e inciso, composto di tre vassoi, due salsiere, un piatto un mestolino, un’oliera, due caffettiere, una grande e una piccola, due zuccheriere, una grande e una piccola, realizzato intorno al 1840 per il re Carlo Alberto. Nella collezione del Palazzo del Quirinale si conservano tre teiere, realizzate tra il 1825 e il 1830, un calice con patena e vari servizi di posate alla cui realizzazione collabora con altri argentieri, come d’altronde era consuetudine in servizi numericamente rilevanti.
Non possono attribuirsi a Carlo Balbino alcune posate, perfettamente identiche a queste per forma e stile poiché in esse sono presenti distinti marchi di bottega. In due forchette da frutta, con incise sul manico le cifre I.D.-R.P., in tre forchette da tavola con l’incisione I.D.A.-R.P., e in due cucchiai da tavola con l’incisione I.D.-R.P. (scheda 7) è presente il marchio di bottega costituito da una corona, due cuori trafitti da frecce e le iniziali puntate C.V. entro profilo circolare liscio, identificabile con l’argentiere Carlo Varischi, attivo a Milano dal 1820 al 1867 (fig. 8).
In altre due forchette da tavola con l’incisione I.D.A.-R.P. (scheda 8) si trova invece il punzone con le lettere G.B. separate da un martello entro profilo circolare liscio. Per questo marchio si può proporre solo l’identificazione ipotetica con l’argentiere Giuseppe Brusa, documentato a Milano tra il 1820 e il 1876, il cui marchio “all’insegna del martello d’oro” prevede le due iniziali separate da un martello che però risulta, rispetto al nostro, di forma differente (fig. 9).
Diversamente dalle posate della bottega di Carlo Balbino, nelle quali compare il marchio territoriale della città di Torino e il bollo di garanzia, l’Aquila sabauda coronata per il primo titolo, pari a 950 millesimi, e la croce dei Santi Maurizio e Lazzaro per il secondo titolo, pari a 800 millesimi, in questi esemplari troviamo il marchio territoriale di Milano, un aratro con il timone a destra, congiunto al bollo di garanzia del secondo titolo, costituito a un globo terreste con lo zodiaco circondato da 7 stelline, le Sette Stelle dell’Orsa minore, in basso la cifra 2 in numeri arabi, entro un ettagono dal profilo a linee rette. Di entrambi i marchi e attestato uso a Milano dal 1 marzo 1812 al 31 maggío 1873 (figg. 8, 9).

Il nucleo numericamente più consistente dell’intera collezione viene attribuito dagli studi recenti all’argentiere torinese Pietro Borrani documentato tra il 1822 e il 1824, anno in cui deposita il punzone con “l’impronto di una mezza luna colle lettere P.B.”. In realtà il punzone presente in questo servizio è costituito dalla figura di un pellicano volto a destra, con la zampa sinistra sollevata tra le lettere P.B. entro un rombo, marchio presente anche nell’analogo servizio di posate, stilisticamente omogeneo, della collezione degli argenti da tavola sabaudi di proprietà delle Provincia di Genova.
Nell’attesa che le ricerche d’archivio portino alla chiara identificazionedi questo argentiere, dagli elementi emersi si possono trarre alcune considerazioni. In primo luogo l’argentiere P.B. è certmamente un maestro quotato e conosciuto, che riceve commissioni importanti; in secondo luogo se si ipotizza che P. B. sia il figlio dell’argentiere torinese Giuseppe Borrani, fratello de argentiere Giovanni Battista Borrani con il quale collabora alla realizzazione del servizio di Genova, egli deve aver cambiato punzone di riconoscimento; in terzo luogo se il marchio presente in alcuni oggetti, come sembra, è la testa di Mercurio, già rilevata nei pezzi realizzati dalla bottega di Martial Fray, che indica la provenienza dalla Francia, si dovrà ipotizzare una produzione francese e spostare su questo ambito le ricerche.
Il servizio, di 407 pezzi totali (scheda 9), si distingue per l’eleganza della lavorazione dei manici con l’elemento di decoro a filetto annodato nella serie delle posate da coperto. Ma ancor più virtuosisticamente elegante è il decoro a traforo in alcuni pezzi da portata come nei cucchiai con paletta a conchiglia o quelli con paletta ovale concava o piatta, da antipasto, dove evidentemente il traforo assolve congiuntamente la valenza estetica e la funzione strumentale dello sgocciolare. Senz’altro l’argentiere raggiunge l’espressione massima del suo estro nelle articolate incisioni floreali delle due palette da pesce.

Ancora ad un altro argentiere e ad una diversa provenienza, non piemontese, deve ricondursi la serie di 12 saliere (scheda 10), di cui 2 risultano rotte già dal verbale del 1948, con base quadrata in argento, piedi a zampa leonina, fascia con decorazioni a palmette e coppetta in cristallo a piramide gradonata rovesciata, di chiaro stile neoclassico.
Infine completano la collezione tre vassoi di dimensioni diverse, con articolate decorazioni vegetali, in rame argentato, con i marchi 10 e la scritta Double con le lettere G e D intervallate da uno scoiattolo, per i quali si propone una datazione alla seconda metà dell’Ottocento.

 

 

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