Decorazioni del Palazzo Viceregio di Cagliari
Decoro artistico come prestigio politico
Le decorazioni che Domenico Bruschi, pittore perugino assai noto e collaudato in prestigiose imprese dello stesso genere, progettò ed esegui nel Palazzo Viceregio a Cagliari su commissione dell’Amministrazione provinciale tra il 1893 e il 1895, sono in primo luogo da interpretare, nel loro insieme, come l’atto finale di carattere artistico – una sorta di coronamento di fasti palatini – di tutto un ordine di scelte che la nuova situazione dello Stato unitario italiano imponeva, di fatto, all’alto funzionariato e alle rappresentanze locali nel momento in cui doveva impostare, non solo logisticamente ma anche culturalmente (potremmo dire, meglio: ideologicamente), la presenza augusta del Regno nelle sedi periferiche. Le Province, perciò, come figlie predilette della nuova Italia, dovevano risultare, nella loro specificità storico-territoriale, strettamente collegate al Centro delle decisioni della ricostituita Nazione: «una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor», secondo l’ideale del Risorgimento liricamente cantato dal Manzoni.
C’è da credere, dunque, che la scelta del Palazzo dei Vicerè, Palazzo reale per circa un quindicennio, adibito tra l’altro a dimora effimera dei Sovrani o loro familiari in visita[1], quale sede del Prefetto, rappresentante dell’autorità centrale, e subito dopo, della Provincia di Cagliari, non fosse stata dettata semplicemente dalla sua disponibilità, in quanto patrimonio di Stato, ma piuttosto per altre, e in quel momento importantissime, ragioni ideali.
L’edificio, infatti, oltre a una vaga dignità artistica calata in una certa imponenza monumentale, evidente soprattutto in una città non troppo ricca di buona architettura civile; oltre al prestigio per la sua collocazione nel quartiere alto, che raccoglieva ancora non solamente la classe nobiliare ma anche le fondamentali istituzioni pubbliche ed ecclesiastiche; perfino oltre alla capienza ragionevole dei locali; oltre tutti i vantaggi pratici e di decoro, quindi, offriva la possibilità di riaffermare nei confronti di tutti i sudditi una indiscutibile continuità storica del potere, che, proprio in quello stesso edificio, aveva visto l’alternarsi di Aragonesi, Spagnoli e Piemontesi[2]. Una sede, pertanto, per più di un verso carismatica: simbolo tradizionale della sovranità, apprestato visivamente per i ceti subordinati e da questi pienamente inteso e memorizzato. Il Palazzo per antonomasia diveniva quindi, con l’autorevolezza del suo passato, della Storia, confermata dal credito generale, la residenza-segno del nuovo potere monarchico italiano, sintesi del travaglio risorgimentale e dell’unificazione degli stati regionali.
Così come non fu casuale la scelta dell’edificio, altrettanto non casuale dovette essere il programma, avanzato alla fine degli anni 1880, dei restauri, delle ristrutturazioni e soprattutto, verso il 1892, della decorazione dell’aula del Consiglio Provinciale e delle sale di rappresentanza ad esso collegate.
Il tema centrale della storia dei Sardi, dell’esaltazione delle loro virtù, soprattutto guerriere, quale appare composto negli affreschi della sala del Consiglio, permetteva di dare un riconoscimento morale a una terra che aveva offerto, e in diverse maniere, un contributo notevole alla realizzazione dell’unità, e di presentare, almeno figurativamente, come legittima, pari e soddisfatta la sua integrazione nel Regno d’Italia. I vari riquadri che raffigurano episodi esemplari, dalla conquista romana alla celebrazione di Eleonora d’Arborea, alla apoteosi finale, sull’alto soffitto, della ricomposizione storica di una lunga e accidentata catarsi, ne sono l’indizio sicuro e significativo.
A proporre i temi fu Filippo Vivanet, che teneva presenti verosimilmente le decorazioni eseguite nel Palazzo Provinciale di Sassari da Giuseppe Sciuti nel 1879 [3].
Vale la pena, a questo proposito, di considerare più attentamente la cronistoria dell’impresa.
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