Decorazioni del Palazzo Viceregio di Cagliari
Pittura di storia e ideologia del potere
Per precisare meglio quegli stessi elementi di ordine generale appena esposti, è necessario esaminare uno per uno i dipinti «storici» della sala del Consiglio.
Una prima osservazione riguarda una irregolarità che passa quasi inosservata. Stranamente, infatti, la successione cronologica degli episodi, che richiederebbe a sua volta una correlata successione spaziale (generalmente da sinistra a destra secondo le abitudini di lettura tipiche della cultura occidentale), non viene rispettata.
Dal punto di vista «epocale» ogni scena fa quadro a sé. Sulla parete nella quale si apre la porta d’accesso dal Vestibolo, c’è il riquadro con Eleonora d’Arborea che promulga la Carta de Logu: il riferimento storico s’incentra in un avvenimento del 1405, al tramonto del Medioevo, quindi. Sulla parete a Ovest di fronte a quella finestrata, appaiono due episodi lontanissimi cronologicamente tra loro: la valorosa e sfortunata difesa della popolazione di S. Antioco asserragliata nel fortino, condotta nel 1815 da Efisio Melis contro un attacco di predatori tunisini; in successione troviamo un episodio della conquista romana della Sardegna; nella rimanente parete è raffigurata una scena con Alfonso il Magnanimo che riunisce per la prima volta in Sardegna le Corti Generali: ci si riferisce già agli albori della civiltà moderna.
Evidentemente si è preferito procedere secondo un criterio, in certa misura, gerarchico, che riguarda sia le pareti, sia, e per conseguenza, gli episodi nel loro significato traslato; adeguato, cioè, a dichiarare il loro valore di modello sia sottolineando l’importanza del consesso che la sala era destinata ad ospitare, sia indicando quale tipo di autorità essi mettevano in luce.
La disposizione s’accordava, nella sua scelta emblematica, con il principio dell’autorità monarchica giunta alle più impegnative prove sul terreno della sua affermazione nella società civile: più importante il potere legislativo e decisionale, essenziale ma orientata dall’alto la virtù nazionale dell’eroismo, della resistenza, dell’olocausto.
Chiaramente le pareti più importanti risultano così quelle corte, le due testate del salone, dove sono dipinte le scene con Eleonora d’Arborea e con Alfonso il Magnanimo. Non è un caso che davanti al primo dei due riquadri indicati sia stato installato il busto del sovrano allora regnante, Umberto I, eseguito in marmo da Giuseppe Sartorio nel 1896, mentre, sul lato opposto, Alfonso il Magnanimo riunisce le sue Corti sovrastando i seggi della Presidenza del Consiglio.
Dobbiamo prendere atto, pertanto, che la spiegazione del «disordine» delle date consiste in un ragione ideologica. Ma osserviamo più attentamente e specificamente gli affreschi.
L’episodio di Eleonora è accampato scenograficamente in un interno architettonico medioevale sfociante in un ampio scalone (la Cattedrale di S. Giusta?). La presenza di costumi, di guerrieri armati, riporta immediatamente allo stile troubadour, caro ai Francesi ricostruttori di sognate atmosfere cortesi, Ma l’addensamento di penombre e taluni luminismi fanno pensare più direttamente ma ricorrenti rappresentazioni storiche italiane, nell’ambito della produzione più volte richiamata.
Emerge quindi il carattere solenne e al tempo stesso «popolare» dell’evento descritto e ne viene espunto l’intimismo lirico tipico del troubadour. A parte la figura di Eleonora e l’invenzione di costumi medioevali, riportati comunque alle più note iconografie diffuse nel XIX secolo, vi appare la nota personale sempre in evidenza del Bruschi espressa nella scarsa propensione a idealizzare e, al contrario, nella ricerca di individuazione delle fisionomie abbastanza vicine al ritratto, e nell’attenzione all’aneddoto. Serpeggia quindi quel certo spirito di verità che, pur nelle non poche contraddizioni dei suoi risultati, corrisponde al credo più volte affermato dal Bruschi, quale fine precipuo dell’arte.
Non diversamente è trattato il soggetto riguardante Alfonso il Magnanimo che nel 1421 convoca le Corti: avvenimento di grande importanza e solennità nella storia dei rapporti tra Aragona e Sardegna. Si prestava, dunque, anch’esso alla grande composizione storica e l’artista si esercita nella disposizione coreografica da scena di un dramma musicale (protagonisti e coro), che gli era indubbiamente congeniale. Anche qui l’artificio teatrale è riscattato dalle annotazioni veriste che si colgono nei volti e in qualche personaggio minore.
Più inventiva appare invece la scena con lo scontro tra Sardi e Romani, e quella con la difesa di S. Antioco dai Mori. Evidentemente Bruschi qui si muoveva più agilmente, libero dal peso ingombrante del «genere» che i suoi maestri e il suo secolo gli imponevano, e poteva immaginare le scene senza grandi inibizioni. Comunque, la dignità di evocazioni epiche esigeva un linguaggio alto che solo la tradizione figurativa, tutto sommato, poteva offrirgli.
È facile quindi rintracciare echi del Manierismo nella invenzione e disposizione della battaglia tra Iliesi e Romani, e soprattutto nei nudi e nella ricerca delle positure. Mancando d’altra parte, in una scena all’aperto, le quinte architettoniche, si affievolisce quella sorta d’impaccio del recitativo teatrale, sostituito dalla concitazione delle masse e, nel caso, da una certa enfasi guerriera, priva però di «protocollo»: vale a dire che tutto potrebbe essere agevolmente articolato in autentica pittura, consentendo, tra l’altro, un più esplicito segnale di verismo; ma il risultato non corrisponde alla situazione ideale.
© Città Metropolitana di Cagliari – Riproduzione vietata