Il Viceré del Bastione – Potere viceregio e autonomia giudiziaria

 
 

Un momento importante fu inoltre rappresentato dall’arrivo dei primi magistrati provenienti dal continente. Annunciati fin dall’agosto 1720, Ludovico Biandrate di San Giorgio, conte di Foglizzo, inviato “in qualità di Reggente consultore”, i senatori Braida e Maino (destinati a occupare i due posti riservati agli “stranieri” nella sala civile) e l’avvocato fiscale Emanuele Filiberto Peyre giunsero ai primi di ottobre. La scelta sovrana rispecchiava alcuni criteri che caratterizzarono la scelta dei funzionari durante il regno di Vittorio Amedeo II: l’esperienza maturata nell’ambiente siciliano e la provenienza da una particolare regione degli stati di terraferma come la contea di Nizza, di cui era originario anche lìintendente Capello e dove il ministro degli Interni Pierre Mellaréde contava importanti aderenze[38].

Una volta insediati i piemontesi, l’organico della Reale Udienza venne completato con giudici sardi e proprio in questo frangente si costituì il primo nucleo di funzionari locali, capaci sul piano intellettuale e professionale, la cui nascita si è soliti far coincidere con l’avvio delle riforme boginiane, mentre dovrebbe essere più correttamente anticipata di alcuni decenni Personaggi come Francesco Melonda Pietro Meloni e Francesco Santuccio, per non arlare del giovane avvocato Francesco Cadello, formarono infatti l’avanguardia di quell’ufficialità sarda, che seppe collaborare attivamente con i viceré e la cui carriera venne seguita e incoraggiata dallo stesso governo torinese[39].

L’impatto con la realtà amministrativa della Sardegna non fu certo facile per i funzionari sabaudi, che al loro arrivo si erano “molto sorpresi di vedere tanto disordine in questo Paese”; già nel settembre 1720 il Saint Remy aveva nominato di propria iniziativa un giudice per la sala criminale, “atteso li molti affari che vi sono”[40]. La lentezza della giustizia era un problema grave, causa di continue lamentele da parte dei sudditi, i quali protestavano per le eccessive spese dei processi. La scarsa efficienza, secondo l’opinione del viceré, derivava dal fatto che i giudici si riunivano soltanto di mattina tre ore al giorno, benché le Prammatiche del Regno li obbligassero a radunarsi anche alla sera. Tale abuso, “che è di pregiudizio al corso della giustizia”, era stato finora tollerato, così come l’abitudine di recarsi in aula vestiti in abiti civili e con la spada al fianco; “Io credo”, riferiva però il Pallavicino, “che i funzionari che vengono da Torino daranno un buon esempio, affinché si sia più assidui alle sale e a riguardo dell’abbigliamento”[41]. Pure il re auspicava che “l’assiduità del Reggente e dei ministri Piemontesi che noi abbiamo inviato, e il decoro che essi osserveranno nell’abbigliamento che conviene al loro stato incoraggiassero i loro colleghi sardi a imitarli”[42].

A tale proposito vennero imposte precise regole di comportamento anche agli ufficiali piemontesi, alcuni dei quali a dire il vero avevano assunto degli atteggiamenti altezzosi nei confronti dei locali. Carlo Antonio Braida, per esempio, venne ammonito, perché diminuisse il numero dei servi che aveva assunto appena giunto a Cagliari, giudicato eccessivo e sconveniente per un funzionario pubblico, il quale probabilmente pretendeva di atteggiarsi da “nobile”[43]. Nonostante gli auspici regi, l’insediamento dei magistrati sabaudi non fu indolore. Inoltre, le nomine dei nuovi giudici, gli spostamenti interni alle due sale della Reale Udienza e la soppressione dei tribunali finanziari provocarono malumori e gelosie. Al di là però della rivalità tra sardi e piemontesi e tra membri dello stesso ceto togato indigeno, si manifestò subito la diffidenza verso un modo di procedere nell’amministrazione della giustizia, che veniva considerato estraneo alle consuetudini del Regno e lesivo dell’autonomia della suprema Corte dell’isola. Si trattava di comportamenti che venivano imputati al reggente, ma in particolar modo al viceré, al quale veniva rimproverato il fatto di intromettersi indebitamente nella procedure.

 
 

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