Il Viceré del Bastione – Potere viceregio e autonomia giudiziaria
Frequenti erano le liti per la precedenza e alcuni dei magistrati favorivano nelle cause i propri conoscenti. Particolarmente attivo sotto questo aspetto risultava Ignazio Paliaccio, tanto che nell’agosto 1722 il Maino informava che “Il Giudice Palliacio si mostra molto impegnato a favorire li suoi parziali. Ultimamente nella causa Villamar stava la notte in casa della Contessa per cercar le scritture, il che si è saputo dalla parte contraria”[80]. Qualche mese dopo, in una lettera al Mellaréde, il Saint Remy rincarava la dose, sostenendo che il Paliaccio era “un po’ troppo vivace; ha litigato nella Sala molte volte con il Senatore Braida e ultimamente con il Reggente e non si comporta troppo bene con i colleghi”. Il magistrato sardo si vantava di avere la protezione di alti personaggi della corte di Torino, tra cui lo stesso ministro degli Interni, ma il viceré lo aveva avvertito che “egli si inganna e che V.Eccellenza non lo sosterrà per nulla, se non si comporta secondo le regole”. Nonostante ciò il Paliaccio continuava a fare il bellimbusto e a “prendersi un po’ troppa confidenza con le dame”[81].
Nelle sale del tribunale cagliaritano si era creato un clima teso, che aveva favorito le fazioni e le delazioni. Nell’aprile 1723 il Maino notava che “Il fiscale Peyre continua a trascurare il suo ufficio per quanto mi è stato riferito delli giudici Meloni e Melonda; lui non visita mai alcun processo; le petizioni le fa sempre un notaio e molte volte convien che li giudici le facciano far come devono essere, perciò molti vengono assolti o non subiscono la pena condegna; nella segreteria del viceré si sono perduti due o tre processi criminali”. Casi singoli a parte, il quadro della giustizia sarda era sconfortante nel suo complesso: “La maggior parte dei processi sono difettosi per l’ignoranza delli ufficiali, ma molto più per loro malizia, con cui procurano di esimere il reo dal castigo”[82].
Del resto, l’esernpio che veniva dai vertici del governo non era certo di correttezza procedurale, visto che alla fine del 1722 il Supremo Consiglio di Sardegna era intervenuto per ricordare al viceré che doveva consultare su tutte le questioni i ministri della Reale Udienza[83]. ll barone si era allora rivolto al Mellaréde, motivando le ragioni del proprio agire: “Vostra Eccellenza sa bene che io non desidero altro che essere sottomesso alla volontà del Re; d’altra parte devo dire a V.Eccellenza che non vi è dubbio che qualcuno di essi desidera sapere le cose per servirsene nei loro piccoli maneggi, dal momento che si conosce tutto appena un minuto dopo che li ho consultati”. Egli dunque era costretto a diffidare dei giudici, dal momento che il loro comportamento gli faceva capire “che tutti i ministri non hanno certo il cuore piemontese”[84]. A dire il vero, sembra che neppure il Pallavicino fosse molto riservato, almeno a quanto riferiva il giudice Maino, il quale nel maggio 1723 osservava che il viceré futuro avrebbe dovuto mantenere “maggior segreto di quello che ha avuto il Barone di S.Remy, perché lui pubblica ogni cosa che scrive a V.Maestà, come anche gli ordini che gli trasmette”[85].
Comunque sia, un tale atteggiamento non poteva non suscitare le reazioni dell’ambiente locale e non è un caso che proprio nel 1723 il già citato Ignazio Paliaccio scrivesse un articolato parere, in cui metteva in discussione l’autorità viceregia nei confronti della Reale Udienza[86]. Né si trattava di una voce isolata, poiché nella primavera di quell)anno numerose erano le lamentele che “il Viceré voglia far tutto per via di decreti contro il costume dei passati Governi, traviando in tal modo dalle strade regolari…perciò dicono che tali provvisioni sono contrarie alle Leggi del Regno, non potendosi il viceré intromettere negli affari di giustizia[87]. A quasi tre anni di distanza dal passaggio dell’isola sotto il dominio sabaudo, si era dunque ancora lontani dall’aver raggiunto l’equilibrio istituzionale e l’uniformità amministrativa perseguite dalla corte di Torino. Inoltre, dell’azione del nuovo governo i sardi percepivano più gli elementi di frattura rispetto al regime spagnolo che quelli di continuità.
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