Il Viceré del Bastione
Tra clero e nobiltà.
La diffusa credenza di un imminente ritorno degli spagnoli costituì per lungo tempo una spada di Damocle per il governo piemontese. Nel luglio 1720 i soldati di Madrid non avevano ancora lasciato la Sardegna e già spargevano la voce che sarebbero tornati “tra breve in questo Regno”[88]. Gran parte dei ceti dirigenti locali, specialmente gli ecclesiastici, erano simpatizzanti della monarchia iberica, che poteva vantare tre secoli di dominazione sull’isola. Date queste premesse non fu certo impresa facile per i nuovi governanti ottenere il consenso dei sudditi, ma soprattutto delle classi egemoni come il clero e la nobiltà. A rale riguardo le indicazioni di Vittorio Amedeo II ai propri ministri erano state chiare: lasciare in vita le fazioni, informarsi nel contempo della “qualità dei capi e loro credito, per qual fine siansi introdotte e qual beneficio o danno possa derivare dalle medesime” e favorire col tempo la creazione di una “terza fazione per il Governo presente e a misura che questa si scoprirà, converrà andarla coltivando per mantenerla et accrescerla, usando sempre affettazione di qualche parzialità et arbitrio in favor dei medesimi”[89].
All’inizio le condizioni erano sembrate favorevoli alla realizzazione dei piani sabaudi. Al suo arrivo a Cagliari il Saint Remy aveva infatti descritto il clero cittadino come povero, ma di buoni costumi, e quindi in apparenza più malleabile. Alcuni anni prima un anonimo informatore della corte torinese aveva però riferito che le sette prelature dell’isola (gli arcivescovati di Cagliari, Sassari e Oristano, nonché i vescovati di Ales, Ampurias, Bosa e Alghero) godevano di cospicui redditi e che in generale tutti i religiosi “sono nel Regno comodissimi, per lo più perché godono intere le decime d’ogni genere di vettovaglie che si raccoglie”[90].
Il passaggio del potere ai Savoia avvenne in un momento delicato della storia della chiesa sarda, poiché quasi metà delle sedi episcopali mancavano dei titolari ed erano affidate a vicari eletti dal capitolo, che costituiva una sorta di senato del vescovo nel governo della diocesi[91]. Tale istituzione era caratterizzata da forti rivalità tra i canonici e “finiva per diventare il campo di battaglia su cui si scontravano in modo occulto o palese le diverse fazioni che laceravano anche le città, specie nei periodi di crisi”[92]. Ciò era puntualmente avvenuto nel primo ventennio del Settecento, per cui i contrasti nell’amministrazione diocesana avevano assunto una valenza politica.
Con la morte dei presuli di Sassari (1720), Bosa e Cagliari (1722), il problema della vacanza si aggravò, lasciando la corte torinese di fronte alla questione della nomina dei nuovi titolari, che spettava teoricamente al sovrano sabaudo, in quanto successore della Corona spagnola, la quale vantava il diritto di patronato regio concesso dai pontefici a Carlo V e a Filippo II d’Asburgo. La Santa Sede sosteneva però che tale diritto, per il cambiamento di dinastia, doveva essere concesso ex novo e che comportava il riconoscimento della sovranità papale sull’isola. Per qualche anno ciò costituì un motivo di contesa tra potere laico ed ecclesiastico.
Mentre fra Roma e Torino si dibatteva questa vertenza, in Sardegna scoppiarono diverse liti giurisdizionali, causate soprattutto dal grande numero di religiosi che a vario titolo si sottraevano all’autorita dello Stato, godendo di privilegi giurisdizionali, come il diritto d’asilo, e di esenzioni fiscali. Si trattava di chierici tonsurati e coniugati, persone cioè che avevano gli ordini minori, nonché di familiari e valletti dell’Inquisizione, che benché soppressa, continuava a mantenere la propria organizzazione. Fin dall’autunno 1720 il viceré aveva sottolineato il grave disturbo provocato dai chierici coniugati, “che sono in gran numero e per i quali non esiste la giustizia”; essi andavano in giro vestiti “come gli piace e portano armi e pistole da tasca”[93]. Per dirimere le controversie giurisdizionali, esisteva da tempo nell’isola un’apposita magistratura arbitrale, il Tribunale delle Contenzioni, affidato tradizionalmente a un ecclesiastico.
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