Il Viceré del Bastione – Pace, quiete e tranquillità perfetta
Certo, a costui la situazione sembrava veramente grave, tanto da rendere necessario un rafforzamento delle truppe di stanza nell’isola. Parlando di ciò in una lettera del febbraio 1721 il Pallavicino, pur concordando sul fatto che c’erano sufficienti soldati nel Regno, sosteneva che era necessario non diminuirne il numero “in questi primi anni…poiché all’inizio di un nuovo governo bisogna farsi ugualmente amare e temere. Nei capi di Sassari e Lugodoro i crimini sono molto frequenti ed è assolutamente necessario porre qualche rimedio dove il male è più grande, per contenere gli altri e a tale riguardo non si può fare niente senza truppe”[167]. Il segretario Labiche, dal canto suo, dava ragione al Pallavicino e sottolineava il gran numero dei delitti commessi, “malgrado tutte le diligenze messe in atto da Monsignor il Viceré”, avvertendo che le regioni “particolarmente difficile da controllare”, erano il Goceano, l’Anglona, il Monteacuto e la Gallura[168].
In una simile congiuntura era necessario che a Sassari ci fosse un uomo di polso, come era stato fino ad allora Giovanni Battista Luserna, conte di Campiglione, il quale tuttavia era in attesa di essere sostituito. In previsione di tale eventualità, il Saint Remy nell’agosto 1721 scrisse al re, sostenendo che come governatore doveva esser mandato “un uomo dotato di autorità e di credito”[169]. Il Luserna infatti aveva informato il viceré che la situazione stava peggiorando e che ciò era favorito dalle continue dicerie di un imminente ritorno degli spagnoli. “Questa voce”, notava il conte, “è diffusa in tutto questo capo e sono tanto convinti di tale fatto, che tutte le barche che vedono, credono che sia la flotta che arriva”. Bisognava scoprire e castigate chi diffondeva le false notizie, dal momento che “tutto il popolo rimane con questa aspettativa e si burlano degli ordini della giustizia”. Del resto, egli era convinto che “questo non è un paese dove si possa comandare e essere obbediti senza avere un contingente di truppe…per contenerli occorrono tutto il rigore e il timore che suscitano i soldati e io assicuro V.Eccellenza che in questo Capo desiderano che io parta al più presto, perché adesso cominciano a temermi e c’è bisogno di un uomo dotato di autorità, che faccia colpo e si imponga alla gente; altrimenti V.Eccellenza avrà un bel po’ da fare e se non c’è un Governatore che tenga d’occhio la giustizia, le cose non andranno per il verso giusto”[170].
Di fronte a un tale quadro, il viceré decise di intervenire e avanzò nuovamente la proposta di fare una “visita”, ribadendo il fatto che era “di assoluta necessità che ci sia un uomo di credito e d’autorità in quel Capo, senza il quale non ci sarà più giustizia”, ma anche questa volta il permesso gli fu negato[171]. Vittorio Amedeo II, d’altra parte, non considerava la situazione sarda così eccezionale come la descrivevano i suoi ministri e a quanti se ne meravigliavano rispondeva che “Non e una novità che si commettano furti e omicidi: è stato sempre così, qui come in Sardegna”, per cui non riteneva necessario adottare provvedimenti eccezionali[172].
In realtà non tutto era così normale come sembrava a Torino e segnali allarmanti provenivano da più località della regione: a Ozieri mancava un Regidore nessuno aveva il coraggio di accettare l’incarico di capitano dei barracelli; a Nulvi e Pattada alcuni banditi si erano rifugiati in chiesa, per godere dell’immunità ed erano stati spalleggiati dal clero; a Torralba dei ricercati erano sfuggiti alla cattura e si erano dati alla macchia “nella montagne della Gallura”[173]. Non era possibile sottovalutare fatti del genere, così che il Saint Remy decise di rivolgersi al Supremo Consiglio di Sardegna, da poco costituito, per informarlo “in riguardo alle squadriglie, assassini e furti, che succedono nel Capo di Sassari”[174].
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