Il Viceré del Bastione – Il secondo mandato (1726-1727)

 
Gli Starnenti però, soprattutto quello militare, non erano stati a guardare e si erano mossi, inviando nei primi mesi del 1727 un memoriale a Torino, in cui sottolineavano il fatto che cariche e pensioni dovevano rimanere appannaggio dei regnicoli. Tale iniziativa, che come si è visto fii portata avanti dal rnarchese di Laconi, non colse di sorpresa il Pallavicino, il quale si rivolse al sovrano, sostenendo che “per assicurare il suo Reale servizio conviene che tutti li merioriali che vengono presentati a V.Maesrà, tanto dalli Stamenti che dalli altri Corpi, passino per le mani del viceré, alla riserva di quelli che contengono doglianze contro lo stesso”[267]. Nonostante la presa di posizione dello Stamento militare, il Saint Remy continuava dunque a rivendicare il ruolo centrale del viceré, che d’altra parte venne confermato dal governo centrale. Nel maggio 1727, spedendo al barone una lista di soggetti a cui attribuire delle pensioni sulle rendite dei benefici, Vittorio Amedeo II dichiarava infatti che “nella disposizione di dette pensioni sono stati da noi preferiti e beneficiati quelli che ci avete posti in particolare considerazione”[268].

Era una bella attestazione di fiducia nei confronti del Pallavicino, il quale nemmeno tre mesi prima aveva ribadito la sua intenzione di intraprendere la visita del Regno, qualora la salute glielo avesse permesso[269]. Le sue condizioni tuttavia non erano buone e alla fine dell’aprile 1727 il segretario Giacomo Cauda, che era subentrato al Labiche nel 1725, informava Torino che il viceré era stato colpito da una forte febbre, aggravata sia “dall’applicazione continua che dedica agli affari” che “dall’aria di questo Paese, che gli nuoce come dicono i medici”; tutto faceva credere che la malattia sarebbe continuata, “specialmente durante il caldo, che gli è molto nuociuto l’estate scorsa”[270]. Il Saint Remy aveva allora deciso “di mutar aria” e di trasferirsi in un villaggio nei dintorni di Cagliari, “per provare se con tale beneficio potessi riavermi”[271]. Qui egli si era ristabilito un poco, ma non aveva ricuperato completamente le forze, mentre “la flussione che ha ai polmoni gli continua sempre”. Perciò aveva incaricato il Cauda di riferire al Mallaréde lo stato in cui si trovava e che lui avrebbe preferito “tornarsene in Piemonte e mettersi a riposo”[272].

A dire il vero il clima sardo non si confaceva molto al barone, che quando era giunto nell’isola nel 1720 era ormai sessantenne e pieno di acciacchi. Già nel giugno 1721 confessava di trovarsi in una condizione “che necessita riposo e tranquillità: ho i polmoni completamente malati, perché sputo sangue di frequente”[273]. Alla salute del nobile piemontese non avevano poi certo giovato le dure critiche a cui era stato sottoposto a partire dalla fine del 1721 e si capisce come nel febbraio 1722 egli cominciasse a “marcare visita”, domandando di poter rientrare in patria[274]. La richiesta di essere sostituito venne ripetuta nel dicembre di quell’anno e motivata questa volta da problemi urinari e dal fatto che “l’aria salata e il clima di questo Paese sono completamente controindicati per i miei mali”[275]. Nel marzo 1725 si aggiunse la gotta, che colpì il Saint Remy alla mano destra e ai piedi, come testimoniava lo stesso segretario Labiche[276]. Infine, il viceré ebbe un forte attacco di dissenteria, ma intanto era giunto comunque al termine del suo incarico triennale[277].

I disturbi di cui soffriva il Pallavicino non impedirono tuttavia che fosse rimandato in Sardegna nel 1726. Dopo un anno, come abbiamo visto, la sua salute ricominciò a peggiorare, tanto che il re lo avvicendò nell’ottobre 1727 con Ercole Tommaso Roero, marchese di Cortanze. Non sappiamo se nella sostituzione del barone abbiano influito più i suoi mali o le crescenti resistenze che stava incontrando in ambito locale[278]. Non è un caso che egli domandasse di essere rimpatriato proprio nel momento in cui aveva difficoltà nei rapporti con i ceti e la Reale Udienza. Si può dire che la scelta di rimpiazzarlo fu il risultato sia della volontà di Vittorio Amedeo II di affidare a una persona diversa la nuova fase di governo che intendeva portare avanti nell’isola, che del desiderio del Saint Remy di chiudere definitivamente la sua esperienza sarda. Rientrato a Torino, l’ex viceré visse fino al 1732 ed ebbe il tempo di ottenere importanti dignità, come il collare dell’Ordine clell’Annunziata nel 1729 e la carica di gran ciambellano, che gli fu attribuita nel 1731 dal nuovo sovrano Carlo Emanuele III.
 

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