Decorazioni del Palazzo Viceregio di Cagliari

 

La decorazione della sala del Consiglio

 

Torniamo, ora, all’impianto decorativo e alle scene dipinte delle sale di rappresentanza del Palazzo viceregio a Cagliari.

Al riguardo va detto subito che, mentre l’intero apparato è stato disegnato e progettato da Domenico Bruschi, nel pieno rispetto degli orientamenti e temi proposti dai committenti, i fregi in marmo e i lavori di intaglio, particolarmente accurati nelle parti e nella monumentale cattedra della Presidenza, furono materialmente eseguiti da maestranze perugine alle quali le aveva, non a caso, affidate.

Che tali partiti siano stati inventati dal Bruschi non risulta chiaramente dagli atti dell’Amministrazione, nè da disegni preparatori, oggi assolutamente introvabili; ma la paternità
dell’artista perugino appare più che provata dal confronto con le grottesche monocrome della volta e con le figure femminili che allegorizzano le virtù del buon governo e dell’ingegneria.

Risulta anche evidente, come del resto individuava piuttosto esattamente la più volte richiamata Relazione morale della Deputazione provinciale di Cagliari, la impeccabile conoscenza accademica della tradizione architettonica e delle connesse, basilari nozioni di simmetria e di equilibrio, a cui appare principalmente ispirata l’impostazione decorativa del voluminoso e difficile invaso spaziale della sala del Consiglio [18].

 

Sala del Consiglio - D. Bruschi: Porta e decorazioni in stucco e in marmo (particolare della parete a Ovest) Foto: Giorgio Biolchini, Cagliari

Sala del Consiglio
D. BRUSCHI: Porta e decorazioni in stucco e in marmo (particolare della parete a Ovest)
Foto: Giorgio Biolchini, Cagliari

Compositivamente, il grande interno è stato corretto introducendo alcune finzioni. Così l’invenzione delle false porte sembra attribuire fermezza e proporzione alla sala, altrimenti dominata, pericolosamente dal punto di vista ottico, dalla prevalenza di un sicuro richiamo esistente sul lato lungo a oriente con la sequenza delle ampie e luminosissime finestre aperte sul paesaggio della città e del golfo di Cagliari. Le tre porte aggiuntive, applicate semplicemente alle pareti, riducono parzialmente questi scompensi. Sarebbe rimasta, infatti, ancora attiva una certa instabilità, ottico-psicologica, derivata dall’alta luce diurna, se non si fossero opposte, sulle altre pareti, risposte visive parimenti impressionanti.

Il Bruschi, perciò, ha fatto ricorso ad un collaudato espediente artistico, ricreando l’equilibrio nell’ambito dell’interesse figurativo. Agisce quindi sui rapporti tra le quattro pareti perimetrali e il soffitto, sia attraverso le porte vere e quelle false, tutte riccamente incorniciate e dai fastigi molto sviluppati, sia con le scene impostate su grandi superfici, esaltate dall’oro delle cornici in stucco, di per sè elemento culturale di sicura presa, sia, ancora, con la ricca e luminosa decorazione, piena dei luccichii dorati della volta, che complessivamente controbilanciano il richiamo assorbente verso il ritmo delle luci naturali della parete orientale. La soluzione, a prima vista, appare così armonizzata da nascondere ogni sforzo di elaborazione da parte dell’artista.

Sala del Consiglio - D. Bruschi: La Sardegna protegge lo scudo sabaudo (partic.) Foto: Guido Costa, Cagliari

Sala del Consiglio
D. BRUSCHI: La Sardegna protegge lo scudo sabaudo (partic.)
Foto: Guido Costa, Cagliari

Nella macchina ottica della sala del Consiglio, vanno considerati a parte l’aspetto illustrativo dei temi assegnati e gli accorgimenti adottati per collegare le varie partiture, per dare al complesso quell’apparenza nobile, aulica appunto, che una tradizione mai smentita (anzi enfatizzata dalle grandi civiltà figurative tardobarocca e neoclassica) richiedeva per le zone di maggior prestigio del palazzo.

Sulla base di tale inveterata abitudine figurativa e sociale, gli ambienti destinati ai massimi consessi e alle grandi relazioni del potere dovevano solitamente essere improntate al massimo artificio, che si concentrava nelle vaste ed elaborate volte, quasi Olimpi vicini e inaccessibili. Al contrario, il salone del Palazzo Viceregio di Cagliari, anche per gli incidenti degli ultimi periodi, presentava un soffitto piano che avrebbe potuto o limitare l’artificio visivo o rendere troppo costoso un suo arricchimento.

Il Bruschi pensò, pertanto, di realizzare all’incastro con le pareti un raccordo curvo, leggero, ma sensibile, in stucco, sottolineato da una evidente ma sempre posticcia trabeazione. La parte superiore dell’ambiente assume pertanto il carattere di una volta appena ribassata, dall’andamento vagamente ellittico. Ciò ha consentito, poi, con migliori giustificazioni, di disporre gli inserti figurali entro cornici curvilinee e variamente spezzettate, di introdurre una pioggia di rosette e borchie a rilievo, tra ridondanti dorature, di riempire i vuoti con un reticolo di elementi lineari finemente intrecciati, e di chiudere il partito ai quattro angoli con l’aggetto più forte di elementi scultorei in stucco, accentuandone il valore allegorico di firmamento delle glorie e delle idee guida.

Il complesso viene così ricondotto ai modelli più celebrati, con quel vago sentore di decorazione settecentesca che fu molto ammirata e tenuta presente dal Bruschi.

La sistemazione delle «storie» riguardanti la Sardegna non poteva a questo punto che trovare una soluzione obbligata entro un rigoroso gioco di simmetrie determinato dalle porte e dove i dipinti fungessero da specchiature aperte su un passato contrastato ed eroico.
Il discorso va portato, quindi, direttamente su questi dipinti, che, nel contesto delle decorazioni, assumono, come s’è accennato, un valore particolare.

Essi possono offrire, in maniera pregnante, una misura più precisa di quelle doti particolari che, per tradizione e appropriatamente, vengono richieste ad un artista. In realtà è sempre più agevole stabilire quali siano le mosse, le evoluzioni e anche i compromessi di un risultato artistico quando vengano riferiti a un impegno culturale di maggiore spessore di quello consentito apparentemente dai formulari maggiormente ripetitivi degli ornati.

Messo di fronte a temi celebrativi predeterminati, l’artista si trova nella situazione di riguadagnare lo spazio dell’invenzione, la sua cifra creativa, senza venir meno ai suoi obblighi verso la committenza.

 

Sala del Consiglio - D. BRUSCHI: Allegoria dell'Ingegneria (ovato del soffitto) Foto: Guido Costa, Cagliari

Sala del Consiglio
D. BRUSCHI: Allegoria dell’Ingegneria (ovato del soffitto)
Foto: Guido Costa, Cagliari

 

Sala del Consiglio - D. BRUSCHI: Allegoria dell'Amministrazione (ovato del soffitto) Foto: Guido Costa, Cagliari

Sala del Consiglio
D. BRUSCHI: Allegoria dell’Amministrazione (ovato del soffitto)
Foto: Guido Costa, Cagliari

Sotto questo profilo, se ci riferiamo alla mutata configurazione dei rapporti artistici e dei fermenti internazionali già in atto (in Francia negli stessi anni ci si dirige verso ricerche post-impressionistiche), dobbiamo costatare che al Bruschi veniva offerta la più antiquata e tradizionale delle condizioni di committenza, resa ferrea dagli scopi della dirigenza politica.
A conferma di questa difficoltà dobbiamo ricordare che uno dei progetti concorrenti, quello del Corona, artista palermitano, fu scartato alla fine con la motivazione di una sua eccessiva disinvoltura, ritenuta poco rispettosa dell’austerità del consesso. Si vuol dire che lo spazio creativo consentito dai committenti si presentava fortemente condizionato dalle ragioni civili, se non proprio da preconcetti estetici.

Non ci si deve meravigliare, pertanto, se, dal punto di vista delle poetiche artistiche, il risultato del lavoro cagliaritano del Bruschi debba essere considerato un passo indietro rispetto alle idee e ai raggiungimenti già conseguiti dal pittore perugino, o, quanto meno, come una soluzione di compromesso.

 

Sala del Consiglio - D. Bruschi: Porta centrale Foto: Giorgio Biolchini, Cagliari

Sala del Consiglio
D. BRUSCHI: Porta centrale
Foto: Giorgio Biolchini, Cagliari

Questo dato emerge con tanta maggiore evidenza se si confrontano le impostazioni figurative retoriche e stilisticamente antiquate (alla Ussi, diremmo) dei riquadri storici, con la più libera vena inventiva e bacchica tesa a simbolizzare la musica e la danza nella cosiddetta «Sala gialla», destinata ai ricevimenti mondani.

In quest’ultima figurazione non manca di certo il rimando alle aborrite iconografie mitologiche, al tema del baccanale, etc. Ma ogni dettaglio, e l’insieme, sono trattati con una leggerezza di mano e di tinte, chiare e dorate, che si possono considerare di già, una sorprendente anticipazione dell’aura liberty.

 

 

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