Atti del convegno Le Genti di Monte Claro • Dal Neolitico al Ventunesimo secolo

 
 
Adriana Gallistru

Monteclaro e i suoi abitanti dal Cinquecento all’Ottocento

 

L’area di Santa Maria Chiara e territori limitrofi nel Cinque – Seicento

 

Fig. 1- Luigi Piloni, Carte geografiche della Sardegna, Editrice sarda Fossataro Cagliari 1974, tavola n. 147 (sec. XVIII).

Fig. 1- Luigi Piloni, Carte geografiche della Sardegna, Editrice sarda Fossataro Cagliari 1974, tavola n. 147 (sec. XVIII).

Nel secolo XVI la città di Cagliari si presentava con la sua cittadella fortificata, il Castello, circondata dalle appendici della Marina, importantissima per il porto, Stampace, sede privilegiata di artisti e artigiani, e infine Villanova, appendice che aveva mantenuto un connotato spiccatamente agreste e che costituiva per tale ragione un trait-d’union ideale con la campagna che si stendeva a perdita d’occhio davanti ad essa.
Il polmone verde della città di Cagliari, detto vinyeto callaritano, si protendeva verso l’interno comprendendo una grande fascia di terreni caratterizzati da denominazioni utili a localizzare i campi, le vigne e i giardini che vi pullulavano. Dal terme de Porta Cabañyas[1] infatti si susseguivano e a volte si affiancavano le zone delle Estelladas[2] e di San Vetrano, di Sanctae Mariae Clarae, e di Sancti Michaelis de la comptessa, luogo permeato dal ricordo della contessa Violante Carroz. Da lì si sconfinava poi fino alla località detta Calamattia, pertinente al San Michele della contessa e quindi soggetto ai conti di Quirra.
In tutta questa zona le vigne si susseguivano senza interruzioni e, nonostante la superba presenza del castello, appartenevano a gente comune che spesso le dava da coltivare ad altri, come fece nel 1556 la vedova Isabella Mura prendendo a servizio per la sua vigna, situata vicino al castello di San Michele, un calzolaio di Sant’Avendrace per lavorarla, sostenere i vitigni con le canne, potarla, curarla e infine vendemmiare[3].

Fra i tanti proprietari di questa zona si deve nominare un’altra donna, Angela Ferro e Murja, vedova dello scalpellino Michele Ferro, che cedette la sua vigna nel 1557 allo scalpellino Antonio Locci[4]. Vicino a questa vigna si trovava quella del bottaio Leonardo Serra e di sua moglie Antonia Gambazo, mentre più lontano si estendevano i terreni del fabbro Pietro Cabra, alcuni dei quali furono da lui alienati a Stefania Sanchez e Selles mentre un altro campo situato in Santa Maria Chiara, comprato dai figli del notaio Andrea Esgrecho, il Cabra lo rivendette al notaio Francesco Tarai.
Soprattutto queste proprietà ora nominate, poste in termino castri Sancti Michaelis spectabilis comitis Quirre presentano rilevanza. La prima, della vedova Ferro e poi di Antonio Locci, per confinare con i possessi del conte di Quirra; era adiacente infatti da un lato alla domo magna del castello, sul retro al castello stesso e di fronte alla vigna del conte, separata da essa dalla strada pubblica[5]. La proprietà dei coniugi Serra Gambazo non era da meno e nel 1562 risultava confinante con la precedente, con la vigna di Michele Lluch, con un terreno aratorio del conte di Quirra, divisa da esso dalla strada per Sestu, e con il castello di San Michele. Passando ai fondi di Pietro Cabra venduti alla Sanchez e Selles, l’importanza e invece dovuta al fatto di avere nelle vicinanze la chiesetta rurale di Santa Maria Chiara, posta molto probabilmente al limite della zona di San Michele dando così il nome all’adiacente termino Sanctae Mariae Clarae. La vigna era infatti sitam in termino Sancti Michaelis de la Comptessa et satis prope eclesia Divae Mariae Clarae.
La chiesetta funzionava regolarmente e veniva affidata a persone ferventi per custodire gli oggetti sacri, i paramenti e altro, che figuravano in un inventario del 1626 consegnato al frate laico Giuseppe Santus dal prebendato di quella zona, don Pietro Vico. Il Santus e sua moglie dovevano stare in loco curando la chiesa e conducendo una vita santa: per quant ea dita iglesia rural de Sancta Maria Clara, construida en lo virmet de Caller, no hi ha vuy hermita per tenir compte y mirament de aquella y es rnester per ço elegir y nomenar una persona tal qual requereix la bona y sancta devocio que en ella se te … no ha trobat ni troba qui mes y millor lo puga fer de l.infrascrit hermano Joseph Santus, que tant de temps y ab tanta satisfactio del poble ha servit de hermita de Nostra Señora de bon cami en la iglesia de Sanct Brancas de la present ciutat y axi … lo elegeix y nomena al predit hermano Joseph Santus en hermita susdit de dita iglesia rural de Sancta Maria Clara, en la qual puga estar y habitar en compannia de sa maller y fer sancta y honesta vida tenint compte y mirament de dita iglesia, robes y coses d.ella que per inventari se li daran y entregaran[6].
Tra i proprietari del termino Sanctae Mariae Clara si cita il maestro d’ascia Giuseppe Maronjo della Lapola, che vendette nel 1590 la sua vigna con case e fontana al mercante Ambrogio Assator. I suoi confinanti erano Girolamo Sanna, Nicolao Steri, dal quale era separata dalla pubblica via, e infine Pietro Cabra per il campo comprato al notaio Esgrecho.
Dalla comparazione di quanto detto, appare evidente che la falda più avanzata del termino Sancti Michaelis de la comptessa si confondeva e si legava indissolubilmente con il termino Sanctae Mariae Clarae, che si allungava in direzione opposta al castello di Quirra distendendosi verso le zone limitrofe della città di Cagliari e in particolare costituendo un anello di congiunzione a le Estelladas e quindi all’appendice di Villanova.
In un ideale avvicinamento alla città di Cagliari, si ricorda la zona di San Vetrano coltivata a vigne, dove si trovava il luogo detto San Nicolao, delimitato dal camino Sancti Nicolai, dove vi era la vigna di Antonio Murja di Villanova[7], e prima di lui del sarto Domenico Porcell, ricca di alberi e con anche un campo di grano; dove c’era una torre semicoperta, turris semicohoperta, forse un’abitazione o forse una sorta di silos.
Interesse presenta pure la poco distante zona delle Estelladas, che da Villanova si prolungava verso Pirri, e in essa il punto dove ora c’è piazza Tristani, non troppo distante dal termino Sanctae Mariae Clarae. Dionigi Scano[8], per l’Ottocento affermò che la denominazione di questa via e piazza traeva origine dalla famiglia Tristani, proprietaria di stabili in quella zona nel XVIII secolo e ricordò nella piazza l’esistenza di una fontana di Tristani. Le mie ricerche sull’argomento per il Cinquecento, riferentisi perciò a due secoli prima, mi hanno portato a trovare che en lo lloch dit les Estelladas esisteva il verger de Montserrat Tristany, e cioè il giardino del mercante Monserrato Tristani.
Nelle Estelladas pullulavano infatti vigne e i giardini, posseduti in parte da cagliaritani di origine non sarda e da mercanti, come Pietro Espa e Tommaso Porpura. Vicino al giardino del Tristani, a fine Cinquecento, si disegnavano la strada reale che congiungeva a San Pancrazio, cami real que va a Sanct Brancas, e la strada detta volgarmente figus dels Madedas. È da notare che per Monserrato Tristani questi terreni erano frutto di attive compravendite e infatti un campo e il giardino sunnominato, o parte di esso, sempre nel Cinquecento era appartenuto ai coniugi di Tortolì Bartolomeo e Leonarda de Quensa.
Rientrando nei confini cittadini, a seguire le Estelladas si ricordano i terreni coltivati e le vigne situati in Villanova presso Porta Cavana, tra i quali c’era quello dell’apotecario Giulio Rosso fornito di casa e fontana[9]. Inoltre fuori di Porta Cavana si menziona il patio del falegname di Villanova Michele Deiana, posto vicino alla strada delle pietraie che andava alla Porta di San Pancrazio: un tros de pati que te fora porta Cabanyes … junt al cami de les pedreres y deves la porta de Sant Brancas[10]. Questa vendita rammenta che in tutta la zona fiorivano le cave di pietra.
Procedendo nel tempo, interesse presenta all’inizio del XVII secolo, il 1603, la collocazione del campo del bottaio Andrea Pilot di Villanova, situato in Montefurcado nella collinetta detta popolarmente Montixeddo, luogo riscontrabile ora con Piazza d’Armi e zone adiacenti. È da notare che su questo campo gravava un censo di 50 lire con ipoteca a favore del convento del San Francesco di Stampace. Sempre in quella zona risultavano essere proprietari di terreni il figlio notaio del pittore Michele Cavaro, Pietro Giovanni, e l’artigliere Lorenzo Broto.
Per concludere, lo lloch dit Santa Maria Clara ricomprendeva l’attuale Monte Claro e, su questa direttrice i terreni al di là dell’odiema via Cadello, arrivando fino a Piazza d’Armi e dintorni tramite il luogo chiamato Montixeddo.

 

I possedimenti dei Gesuiti e la vigna degli Otger

 

I possedimenti dei Gesuiti nella zona di Monte Claro e dintorni si presentavano verso la fine del Cinquecento con vigne, terreni, giardini e terre aratorie, acquisti spesso concretizzati da padre Baldassarre de Silva. Due di queste compravendite vennero effettuate con Michelangelo Carta, che alienò ai padri nel giro di pochi giorni vari terreni posti nei territori del conte di Quirra.
La descrizione degli appezzamenti venduti in prima battuta, situati tra le strade che portavano ad Elmas, Pirri e Sestu, è quanto mai agreste e dà l’idea di un complesso vitale e ben organizzato. Tra i confinanti si ritrovano l’ex proprietario Michelangelo Carta, Michele Rocca, Francesco Cunjado di Stampace e Michelangelo Lluch. Da quest’ultimo proprietario, già segnalato precedentemente, e dalla via per Sestu si può situare parte di questo fondo nel termino di San Michele della contessa. La seconda parte di terreni passata da Michelangelo Carta ai Gesuiti, comprendente due fondi, si trovava in Calamattia nei territori del conte di Quirra, en territori del conte de Quirra en lo lloch dit de Calamatia. Un solo vicino viene citato, Bartolomeo Caviano, cosa comprensibile per l’estensione dei terreni, 22 ettari in tutto, che si raccordavano direttamente con la strada che portava a Elmas e a Pirri, con la strada che da Cagliari portava a Sestu, e con la strada chiamata […] Arbarei, posta di spalle alle terre del Caviano.
Nello stesso periodo di tempo, il 1596, i Gesuiti si accaparrarono un terreno sito en territoris reals de Sancta Vendres (Sant’Avendrace) y Pauli y en lo lloch dit Is Trincas[11], appartenente ad Antioco Frau di Monserrato.
L’anno successivo anche il padre del Frau, il massaio Simone Frau, che si trovava nelle prigioni cagliaritane, fu costretto a vendere per togliersi dai guai. Il terreno, posto nella zona detta lo fangar (il Fangario) e ambito dai padri Gesuiti al pari del precedente perché limitrofo a un latifondo di loro proprietà, confinava anche con quello ceduto dal figlio Antioco e con il cami real que va a Sesto[12].
Passati due anni, nel 1599, Pietro Cabra vendette alla Compagnia di Gesù, un terreno di 24 starelli, in parte boschivo e in parte destinato a coltivazioni e a pascolo. Il fondo era posto nel luogo detto sa Moxarida e costeggiava la strada reale che portava a Sestu, le terre di Bartolo Vico di Cagliari – Villanova, e un altro possesso dei Gesuiti.
Altri terreni, tra cui una vigna, un giardino e un campo fagocitati dai Gesuiti nelle vicine Estelledas, sono citati grazie alla permuta fatta dal mercante Antioco Lluch in favore di Monserrato Tristani[13].

Fig. 2 - Luigi Piloni, Carte geografiche della Sardegna, Editrice sarda Fossataro Cagliari 1974, tavola n.147 (sec. XVIII) Particolare, che evidenzia la vigna Otger, il cui proprietario non è individuato nella legenda della cartina, con i suoi confinanti: Antioco Caredda, i Padri claustrali di San Francesco, il giudice Cugia e la vigna dei Gesuiti.

Fig. 2 – Luigi Piloni, Carte geografiche della Sardegna, Editrice sarda Fossataro Cagliari 1974, tavola n.147 (sec. XVIII)
Particolare, che evidenzia la vigna Otger, il cui proprietario non è individuato nella legenda della cartina, con i suoi confinanti: Antioco Caredda, i Padri claustrali di San Francesco, il giudice Cugia e la vigna dei Gesuiti.

Arrivando al XVII secolo si sa con sicurezza che vicino ai terreni che formavano il latifondo dei Gesuiti c’era la vigna della famiglia Otger[14], interessante per la sua posizione e per il dipanarsi nel tempo delle vicende ad essa legate. Questo vigneto posto in Santa Maria Chiara, che conteneva tutta l’attrezzatura necessaria per fare il vino[15], compariva tra le proprietà del defunto don Gregorio Otger[16].
Rimasta nel secolo successivo saldamente in mano agli Otger, le sue affrontazioni permettono di stabilire la composizione in quel momento delle varie proprietà e il loro intersecarsi nelle zone di Santa Maria Chiara e quella alle pendici del castello di San Michele: viña sita en lo viñete de esta de Caller y lugar vulgurmente llamado de Santa Maria Clara y del castillo de San Miguel de la Contessa. I suoi confinanti in una descrizione del 1730[17] erano i padri di San Francesco, il giudice Cugia, la vigna dei Gesuiti.
Nel 1737 lo scrivano che inventariava i beni della famiglia Otger fu più generoso con le parole nell’individuare i fondi confinanti con la vigna Otger[18] puesta en terretoris de esta dicha ciudad y camino que se va a Santa Maria Clara, che venne descritta posta di spalle al castello di San Michele, con a un lato la vigna di don Michele Cugia e all’altro lato la vigna dei Caredda, eredi del chirurgo Giovanni Battista Caredda, la chiesa di Santa Maria Chiara e la vigna dei padri claustrali, mentre davanti si affacciava sulla vigna dei padri Gesuiti di Cagliari, posta in Monte Claro. Il proprietario di questo fondo, che aveva lasciato i suoi beni terreni, era Francesco Otger, figlio primogenito di Francesco Andrea Otger; successivamente le proprietà di fedecomesso, tra cui la vigna, passarono alla discendenza maschile e quindi, poiché il primogenito Francesco morì improle, si trasferirono a Francesco Giuseppe, figlio di Vincenzo, che era il secondogenito di Francesco Andrea[19], e da Francesco Giuseppe nel 1796 al figlio Vincenzo avuto da Luisa Ripoll y Salazar. Questi possessi però erano appetiti da altri componenti della stessa famiglia, per cui si trovò impelagato nel 1820 in una causa intestina tra parenti. Nell’incartamento di questo processo si ribadiscono i medesimi confini di fine ‘700; l’unica novità è dovuta al fatto che i possedimenti fondiari dei Gesuiti, passati alla fine del Settecento nelle mani di Giommaria Angioy, erano nel frattempo pervenuti alle eredi Angioy[20].

 
 

 
 

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