Atti del convegnoLe Genti di Monte Claro • Dal Neolitico al Ventunesimo secolo
Alessandra Pasolini
Un dipinto proveniente da S.Maria Chiara: la Madonna del Silenzio
Nella moderna chiesa di S. Carlo Borromeo a Cagliari si conserva un pregevole dipinto che rappresenta la Sacra Famiglia, nota come la Madonna del Silenzio[1], recentemente recuperata da un attento restauro che, sulla base di qualche indizio documentario ma soprattutto attraverso raffronti formali, iconografici e stilistici, è stato possibile ricondurre nell’ambito della pittura di derivazione raffaellesca[2].
Il titolo è allusivo al gesto con cui Maria, in veste rossa e manto blu, portandosi l’indice della destra alle labbra invita al rispetto del sonno in cui è immerso Gesù (fig.1). In secondo piano sulla destra sta S.Giuseppe, pensoso e ammantato di bruno; a sinistra S. Giovannino si protende verso la culla ma guarda Maria, alle sue spalle si scorge un paesaggio attraverso un’apertura da cui proviene la luce naturale che fa risaltare le figure su un opaco e indistinto fondo scuro (forse una cortina?). La sacralità dei personaggi è evidenziata da semplici aureole dorate, quella della scena dalla riduzione all’essenziale degli elementi compositivi e cromatici e dai gesti d’intima quotidianità ma pieni di solenne pacatezza.
In epoca imprecisata il dipinto è stato oggetto di un intervento di risistemazione, durante il quale la tela fu incollata su un supporto rigido e rimaneggiata[3]. Nel 2003 l’opera è stata sottoposta ad intervento di pulitura e restauro – reso necessario dalle lacerazioni della tela, dalle crettature del pigmento e dall’ossidazione delle
vernici di protezione (fig.2) – con cui si è provveduto all’asportazione dello sporco e delle ridipinture, ridando corpo e luminosità al colore[4]. Dal fondo indistinto è riemersa l’apertura verso il paesaggio, prima non percepibile, si è potuto apprezzare la qualità del tono cromatico (in particolare la brillantezza del rosso nella veste di Maria), la trasparenza dei veli e altri dettagli.
La tela, venerata sull’altare maggiore nella sede provvisoria della parrocchia cagliaritana, poi nella chiesa nuova trasferita nella cappella del SS. Sacramento come invito alla meditazione eucaristica, dopo il restauro ha trovato nuova sistemazione nella navata sinistra. La tradizione vuole che provenga da S. Maria Chiara di Pirri, antica chiesa di fondazione monastica benedettina, situata alle falde del colle di S.Michele[5]. Gestita da eremitani[6], riattata alla fine del ‘600[7], poi interdetta dall’arcivescovo Natta nella prima metà del ‘700, semidistrutta e cadente secondo la fonte delle Respuestas (1777-79), fu infine demolita nel 1809[8]. Per salvaguardarli dalla distruzione, gli arredi furono trasferiti nella parrocchiale di Pirri; il dipinto invece fu portato nella chiesa di S. Giacomo, dove rimase fino agli anni Sessanta, quando fu trasferito a S. Carlo[9].
Tra gli inventari redatti in occasione delle visite pastorali tra la fine del ‘500 ed i primi del ‘600[10], tese a verificare l’adesione ai dettami conciliari e la decenza dei luoghi liturgici e delle suppellettili sacre, in quelli degli arcivescovi cagliaritani Del Vall (1591) e Lasso Sedeño (1599) nella parrocchiale di Pirri viene citato solo il simulacro di S. Maria Clara (sa image de bulto) con relativo diadema d’argento, in quello di Desquivel (1612) è elencato anche lo retaulo de Santa Maria Clara[11]. Anche se il retablo non è descritto, possiamo arguire sia stato realizzato per inserirvi la statua già esistente e che il dipinto ne fosse parte[12].
L’impostazione della dolce scena devozionale s’inserisce nell’ambito della pittura controriformata secondo le indicazioni dettate da S.Carlo Borromeo, secondo cui le immagini dovevano conformarsi nelle posizioni del corpo, nelle vesti e negli atteggiamenti alla dignità, decoro e santità del prototipo sacro, senza scostarsi dalla tradizione delle scritture e dagli insegnamenti del magistero della Chiesa (Sacrarum imaginum expressio tota prototypi dignitati et sanctitati, apte ac decore, corporis habitu, statu et ornatu respondeat …)[13].
Stabilito che il dipinto non compare negli inventari prima del 1612, in considerazione del fatto che le sue caratteristiche formali orientano verso un pittore tardomanierista, con un bagaglio culturale che attinge largamente ai grandi maestri italiani del Rinascimento per il tramite di stampe, potrebbe essere opera di un artista di passaggio. Per ragioni stilistiche possiamo escludere la possibilità di individuarlo tra gli artisti isolani (Andrea Lusso, Francesco e Diego Pinna) e naturalizzati (Giulio Adato, Bartolomeo Castagnola, Baccio Gorini) operanti in Sardegna tra la fine del ‘500 ed i primi del ‘600[14]. Risultano al momento ancora sfuggenti le personalità di Francesco Aurelio, Marce Bernier, Ursino Bonocore, Scipione Ciceri, Matteo Irolli ed altri pittori che da attestazioni documentarie risultano presenti in territorio sardo ma privi di opere a loro assegnabili.
L’iconografia della Vergine in preghiera davanti al Bambino addormentato ha importanti precedenti nella tradizione rinascimentale italiana, in particolare il motivo della Madonna che svela il figlio dormiente è stato molto frequentato in area veneta e lombarda (i Vivarini, Bergognone)[15]. Il sonno di Gesù, messo in relazione con la scultura funeraria, le rappresentazioni sacre e il tema della Pietà, viene letto come prefigurazione della sua passione e morte in croce[16]. Nel dipinto cagliaritano il Bambino addormentato è posto in un cesto, avvolto da un velo e un lenzuolo, elementi puntualmente interpretati da Maria Francesca Porcella alla luce delle Scritture e della spiritualità cristiana come invito alla meditazione e alla contemplazione: il sonno è metafora del mistero della morte, il cesto presenta Gesù come nuovo Mosè ma anche come pane eucaristico, il velo è immagine del cielo, svelato nell’incarnazione del Verbo di Dio, il lenzuolino allude al sudario funebre del Redentore[17].
È stata accertata l’autografia di Giovanni Bellini sia della Madonna con il Bambino (Metropolitan Museum), sia del disegno soggiacente alla Madonna con Bambino (Verona, Museo di Castelvecchio): in entrambi i casi la Vergine è intenta alla preghiera davanti al Bambino dormiente, poggiato su un cuscino nero o coperto da un lenzuolino nero (fig.3)[18].
È variante iconografica di derivazione belliniana la Madonna con Bambino (Castelvecchio) del veronese Francesco Bonsignori (1460-1519): la Madonna orante veglia il Bambino che giace su una lastra di marmo bianco venato di rosso, la cosiddetta ‘pietra dell’unzione’[19] (fig.4).
Se l’immagine prefigura il sacrificio di Cristo, redentore dell’umanità, il dipinto va letto secondo Zeri (1987) come ‘prolessi’, rappresentazione cioè di un soggetto che anticipa il destino finale della vicenda: Il Bambino infatti dorme nella stessa posizione del Cristo deposto dalla croce[20]; il confronto con il Cristo in scurto di Andrea Mantegna (Milano, Brera) evidenzia come la Vergine, ormai anziana, pianga la morte del figlio macchiando con le sue lacrime il marmo.
Per quanto concerne la fortunata invenzione della Madonna del diadema (Parigi, Louvre), dipinto raffaellesco del periodo fiorentino in cui la Vergine svela il Bambino addormentato per mostrarlo a S. Giovannino, copiato da vari artisti, è significativo che, nelle numerose versioni incisorie dalle minime varianti, il titolo da Quid mater natum velo tibi monstrat aperto muti in Silence de la Vierge o Vierge au lince, per passare poi a Mater purissima, fino a Ego dormio sed cor meum vigilat o, più semplicemente, a ll sonno del Bambino[21]. Il prototipo illustre dell’immagine è la Sacra Famiglia di Raffaello, detta Madonna del Velo di Loreto (1511-12), un tempo nella chiesa di S.Maria del Popolo a Roma e andata perduta; nel 1508, infatti, Giulio Il aveva commissionato al giovane artista un suo ritratto ed una Madonna che scopre il Bambino dormiente con S. Giuseppe nel fondo, che, collocati ai due lati del presbiterio, venivano tenuti coperti dietro drappi e mostrati solo in occasione delle feste.
La maggior parte degli studiosi riconosce l’originale di Raffaello nel dipinto oggi al Museo Condè di Chantilly (fig.5), in cui la figura di S. Giuseppe fu aggiunta in un secondo tempo; Zeri invece, sulla base della qualità molto alta del disegno che soggiace al dipinto, lo individua nell’esemplare del Getty Museum (Malibu, California) (fig.6), che mostra molti pentimenti: il fatto che l’autore abbia cambiato idea più volte in corso d’opera è difficilmente spiegabile in una copia[22].
Il tema ha fornito spunto anche ad artisti della maniera come Parmigianino (Madonna col Bambino addormentato, Capodimonte; Madonna dal collo lungo, Uffizi) o il Bronzino (Sacra Famiglia Panciatichi, Uffizi)[23], con esiti di grande eleganza formale e raffinato cromatismo.
Sebastiano del Piombo realizzò verso il 1525-26 per il papa Clemente VII una Madonna del Velo (fig.7) che nella delicatezza cromatica e nella qualità scultorea sintetizza influssi raffaelleschi e michelangioleschi, pervenuta attraverso vari passaggi di proprietà al principe-vescovo Karel II di Liechtenstein (Olomouc, Museo d’arte). Anche se la critica non è concorde nell’accettarne l’autografia, si conserva un disegno con la figura isolata del Bambino addormentato[24]. Dell’opera esistono svariate repliche, copie o derivazioni[25].
Sebastiano dipinse una variante per Paolo III Farnese (1534-49) nella tecnica sperimentale dell’olio su lavagna, che il Vasari descrive nella sue Vite (1568): “In un quadro fece una Nostra Donna che un panno cuopre un putto, che fa cosa rara, e l’ha oggi nel suo guardaroba il cardinal Farnese” (Napoli, Capodimonte) (fig. 8)[26]. Di non semplice datazione (1530-40), è una rielaborazione in controparte del prototipo ceco; si è ipotizzato costituisse una sorta di pendant spirituale e simbolico della Pietà (Siviglia, Casa di Pilatos)[27].
Il pittore veneziano fu forse ispiratore di Michelangelo Buonarroti per il suo celebre disegno a sanguigna la Madonna del Silenzio o Il Silenzio (collezione duca di Portland)[28] (fig. 9), che rappresenta un muscoloso e poco infantile Gesù addormentato sulle ginocchia materne, in una posa che ricorda il tema della Pietà ed esplicita quindi la corrispondenza tra il sonno e la morte. Inclusa nel gruppo dei cosiddetti disegni ‘di preghiera’ (Crocifissione, Pietà, Saniaritana al pozzo e Madonna del Silenzio) eseguiti dall’artista toscano per la poetessa Vittoria Colonna, vedova del marchese di Pescara, negli anni della loro frequentazione tra il 1536-38, e considerati prova della spiritualità valdesiana della marchesa di Pescara, le sarebbe stata consegnata verso il 1540[29].
Tra le numerose copie e traduzioni del disegno michelangiolesco, prova della sua grande fortuna in campo incisorio[30], le più importanti sono quelle di Giulio Bonasone e Marcello Venusti. Il primo, affascinato da Michelangelo, interpreta il prototipo in un’incisione del 1561, introducendo alcune varianti nell’acconciatura della Madonna, nella figura di Giuseppe, nella pelle d’agnello di S. Giovannino e nel panneggio di sfondo[31]. L’idea del bambino abbandonato sul grembo della madre che sorveglia il suo sonno, forni spunto a Marcello Venusti (Como 1512/15 – Roma 1579), amico e seguace di Michelangelo, per varie opere[32] tra cui il pregevole esemplare di Lipsia, firmato e datato 1563 (fig.10):
qui è presente il simbolico motivo della clessidra. Sono state invece espunte dal corpus delle sue opere la Madonna del Silenzio della Galleria Corsini, attribuita al bresciano Prospero Scavezzi, e la Sacra Famiglia proveniente dalla collezione Torlonia (oggi al Collegio Romano)[33]. Mentre il “Maestro del Nome di Gesù” realizzò una buona riproduzione in controparte della Madonna del Silenzio del Bonasone[34], Philipp Soye realizzò nel 1566 una libera variante del prototipo michelangiolesco: la Vergine è seduta per terra col Bambino in grembo, tra Giovannino e Giuseppe, diverso per fisionomia e vesti. Anche il bulino di Giovan Battista de’ Cavalieri (Lagertale 1525 – Roma 1601) del 1574 deriva dal prototipo michelangiolesco[35].
Cristofano Allori (1577-1621), invece, isola la figura di Gesù infante e lo rappresenta nudo, disteso sulla croce (Firenze, Uffizi), con esplicita e cruda allusione alla Passione. Nel 1597 Agostino Carracci incide una Sacra Famiglia in cui il Bambino dorme sulle ginocchia della madre che solleva il velo che lo copre[36]; Annibale Carracci, invece, firma l’acquaforte Madonna con il Bambino e un angelo (1605-06), in cui la madre sostiene il Bambino addormentato ed un angelo lo ammira[37], ma realizza anche una Madonna del Silenzio. Il bolognese Alessandro Tiarini (1577-1688) nella Madonna col Bambino ed angeli (Capodimonte), prende spunto dall’Allori nel rappresentare il Bambino dormiente abbracciato alla croce; Orazio Gentileschi invece riprende l’idea raffaellesca del velo e con bellissima invenzione pone un frutto in mano a Gesù (Cambridge, Mass., Fogg Art Museum)[38]. Guido Reni ha dedicato al soggetto vari dipinti, sia nella versione della Vergine orante davanti a Gesù che dorme (Roma, Galleria Doria-Pamphili), sia nella versione del Bambino dormiente sdraiato sulla croce entro un bel paesaggio, sia nel suo lettino in un interno (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica)[39].
Lavinia Fontana (Bologna 1552-Roma 1614) si riallaccia alla tradizione raffaellesca e nella Sacra Famiglia con San Giovannino (Madrid, Escorial) raffigura Giuseppe muto ma partecipe testimone dell’avvenimento (fig.11); per il dipinto, diffuso in tutto il territorio iberico forse proprio per interessamento della famiglia reale, esprime vivo apprezzamento il pittore Francisco Pacheco, censore del Tribunale dell’Inquisizione spagnola, rilevandone la grazia e la dolcezza, capaci di attrarre la pietà e la devozione del popolo (pintura tan alegre y hermosa y de buen colorido y tan llena de dulzura, que nunca se hartan de verla)[40].
L’iconografia è ripresa da Baccio Gorini nella Sacra Famiglia (Cargeghe, parrocchiale) (fig. 12): la Vergine, incoronata come una regina, incrocia le braccia sul petto e contempla il Bambino. Gesù dorme, il capo poggiato sul braccio destro, con una croce tra le mani; sui bordi del drappo che lo copre la frase del Cantico dei Cantici EGO [dormio] ET COR [meum vigilat], allusiva al rapporto d’amore tra lo sposo alla sposa. Della data 1588, non più leggibile[41], dubita Maria Grazia Scano (1991) ritenendo l’opera più tarda[42] come confermato da recenti contributi che suggeriscono una datazione successiva al 1601[43]. L’immagine “arcaizzante e quasi neoquattrocentesca, resa con la rarefatta sostanza da icona”[44], possiede un’aura fuori dal tempo; in tal senso s’inserisce nel programmatico recupero della pittura rinascimentale del XV e XVI secolo operata dall’arte controriformata toscana, che il pittore contribuisce a divulgare in Sardegna[45]. L’arcivescovo sassarese Catayna (1671-1678) assegno ottanta giorni d’indulgenza a chi pregasse devotamente di fronte all’immagine, da cui furono tratte varie copie, tra cui una, fedelissima, nella parrocchiale di Borutta; la visita pastorale di mons. Morillo (1686) conferma la capacità dell’immagine di ispirare grande devozione nei fedeli[46].
In Sardegna sono pero presenti alcune varianti iconografiche del soggetto. Nel Museo Sanna di Sassari si conservano tre dipinti, variamente datati tra XVI e XVII secolo: il primo raffigura la Vergine con una corona sul capo che giunge le mani in preghiera, lo sguardo rivolto al Bambino che dorme su un cuscino dai bordi ricamati (fig. 13); il secondo, forse residuo di una scena più ampia, mostra l’infante sdraiato su un candido lenzuolino entro una culla lignea, sulla quale incombe uno scenografico drappo rosso (fig. 14); il terzo, di forma ovale, rappresenta in primo piano la Madonna col figlio dormiente, sullo sfondo una scala ed una cortina[47]. Ancora inediti due piccoli dipinti ad olio su rame di collezione privata, che rappresentano la Vergine a mezza figura che a mani giunte prega davanti al figlio bambino che dorme[48]; tra i due, uno in migliore stato di conservazione (fig. 15) ha qualità da miniatura nella definizione dei dettagli e nell’ambientazione della scena; l’altro, danneggiato da cadute di colore (fig. 16), è dipinto sulle due facce e nel verso raffigura S. Filippo Neri in preghiera. Va segnalato che il primo dipinto sassarese e i due di proprietà privata presentano il dettaglio del Bambino che dorme con il capo appoggiato al proprio braccio, elemento non ripreso dai prototipi incisori ma probabilmente desunto da Baccio Gorini.
La fioritura di variazioni iconografiche sul tema specifico del Sonno del Bambino e della Madonna del Silenzio[49], non solo conferma il ruolo strategico delle stampe come tramiti di cultura visiva nella pittura sarda del Cinquecento[50], ma rimarca anche la grande fortuna incontrata da queste immagini sacre durante il periodo della Controriforma, dato il loro carattere di raccolta e domestica intimità che rispondeva alle esigenze della religiosità ufficiale ma anche dell’orazione privata.
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