Atti del convegno Le Genti di Monte Claro • Dal Neolitico al Ventunesimo secolo

 

Luisa D’Arienzo

Premessa

Gli Atti del Convegno dedicato a Le Genti di Monte Claro, Dal Neolitico al ventunesimo secolo vedono oggi la luce in questo importante volume che illumina le vicende di un’area della città di Cagliari, fino a pochi anni fa inaccessibile e vista quasi con timore per la presenza degli edifici dell’Ospedale psichiatrico ma oggi risorta a nuova vita grazie ad una sapiente politica di tutela ambientale da parte della Provincia di Cagliari, che ha recuperato il sito nel suo complesso risistemandolo come parco pubblico.

L’area di Monte Claro con la sua dolce collina, che non è mai stata urbanizzata nel corso dei secoli, al giorno d’oggi è finalmente fruibile come spazio verde, uno dei pochi di cui possa godere la città di Cagliari. Il parco con le sue fontane, i laghetti e le numerose aree di sosta e di giochi per i più piccoli ha già conquistato le preferenze di molte famiglie cagliaritane, e non solo, che lo frequentano numerose per godere di un momento di quiete, lontane dal frastuono cittadino. Pochi, però, sanno che questo luogo è ricco di un’importante storia millenaria carica di suggestioni che lo rende unico nel suo genere; è stato dunque assai opportuno organizzare un Convegno che svelasse ogni aspetto del suo passato, affinché coloro che lo visitano siano consapevoli di poter godere, insieme al verde, di un bene culturale di altissimo profilo. Non vi è dubbio che i cagliaritani saranno ben lieti di leggere questo volume, ed anche riconoscenti nei confronti di coloro che si sono fatti carico di realizzarlo.

Le notizie più antiche le ha presentate Enrico Atzeni, che ha chiarito come, dal colle di Monte Claro, oggi emergente alla periferia orientale dell’area urbana cagliaritana, derivi il nome di una delle più importanti culture della preistoria sarda e mediterranea: la cultura detta, appunto, di Monte Claro, che fu evidenziata per la prima volta agli inizi del Novecento, durante i lavori di fondazione dell’Ospedale psichiatrico provinciale, e progressivamente approfondita nel corso di scavi e ricerche a partire dal secondo dopoguerra, quando furono svolti numerosi studi nei contigui rioni cittadini, poi allargati alle estensioni agricole dell’hinterland campidanese. Tali studi hanno sempre più evidenziato, sulle sequenze del ”prenuragico”, le inedite espressioni di un contesto archeologico dai caratteri originali e spiccatamente innovativi, ben leggibili nei precoci rapporti insediativi con il megalitismo ciclopico, nelle nuove tipologie tombali, nei ”rivoluzionamenti” delle peculiarità formali e decorativistiche dell’artigianato ceramico, nell’avanzata presenza della metallurgia del rame. La ricerca scientifica degli ultimi decenni attesta ormai la presenza di questa cultura in tutta l’isola, con una pluralità di facies e una capillare distribuzione territoriale inquadrabili nel pieno Eneolitico (l’età dei primi metalli), su un arco cronologico-culturale che il radiocarbonio propone tra il 2700 e il 2200 a.C., significativamente a monte dei successivi assetti architettonici della conseguente civiltà nuragica dell’Età del Bronzo.

Donatella Salvi ha precisato, poi, che il sito riserva anche interessanti testimonianze d’età romana lungo la via denominata Is Stelladas, che univa Cagliari a Pirri, come già aveva messo in evidenza lo Spano nella sua “Guida della città e dei dintorni di Cagliari” (1861), dove aveva sostenuto che Pirri fosse stata una delle parti dell’antica città di Karalis. La sua affermazione era confortata dai numerosi frammenti di colonne in marmo che si trovavano sparsi nella stessa villa e nel piazzale della parrocchia ed ancora da altre colonne tratte da “antichi edifizi” visibili all’interno della chiesa di San Nicolò. Dallo stesso luogo, a suo dire, provenivano anche le colonne in granito che affiancavano l’ingresso del Regio Arsenale, oggi Cittadella dei Musei. Pur se al giorno d’oggi i dati forniti dallo Spano hanno pochi riscontri visibili, ciò nonostante gli scavi del secolo scorso hanno consentito di confermare significative tracce di epoca romana nella vasta area posta tra il colle di San Michele, il colle di Monte Claro e Pirri. Si tratta in modo particolare di cippi e lastre con iscrizioni, in genere risalenti ai secoli I-III, ritrovate in momenti e condizioni diverse, che denotano una committenza di buon livello e consentono di accertare l’esistenza di necropoli periferiche alla città, disposte lungo le strade di collegamento con l’entroterra.

L’area di Monte Claro, ha spiegato Rossana Martorelli, presenta anche emergenze di epoca medievale risalenti ad un’epoca in cui il territorio, ubicato nella fascia suburbana settentrionale della città di Cagliari, aveva una connotazione rurale caratterizzata dalla presenza di ville, o piccoli insediamenti, dove si svolgevano attività di tipo agro-pastorale, in grado di fornire alla città i prodotti per il fabbisogno interno e per l’esportazione attraverso il suo porto. A partire dal secolo XI furono, poi, ceduti alcuni appezzamenti di terreno a piccole comunità religiose, spesso monastiche, dedite alla coltivazione dei campi, come attesta la chiesetta di Santa Maria de Vineis, donata ai Vittorini di Marsiglia, la cui ubicazione, oggi non conosciuta, viene solitamente posta nel sito di Pirri. Dopo la conquista catalano aragonese di Cagliari del 1326, l’area risultò compresa entro la fascia che da Decimo portava a Sant’Elia, inclusa nella giurisdizione del capoluogo isolano. Nei documenti di questo periodo è ricordata una chiesa di Santa Maria de Claro o de Monte Claro (in epoca successiva identificata con un’improbabile Santa Maria Chiara) in riferimento ad un edificio di culto che gli studiosi ritengono forse legato ad un insediamento cenobitico cistercense. La chiesetta, al centro di un piccolo borgo omonimo, poi abbandonato e scomparso nel corso del XVI secolo, viene di solito identificata con i ruderi inglobati in una casa colonica ancora oggi visibile sulle pendici di Monte Claro. È da questo luogo che ebbe origine il culto e la devozione per Santa Maria Chiara (una santa di fatto mai esistita), che avrebbe preso il nome da quell’antico cenobio cistercense, la cui origine gli studiosi pongono nella prima metà del XIII secolo, in un momento storico che coincide, ha ricordato Giuseppe Spiga, con la massima presenza nell’isola di tale ordine benedettino.

La chiesa di Sancta Maria Clara risulta menzionata nei documenti fino alla metà del 1500, mentre il simulacro mariano, nel secolo successivo, era già custodito nella parrocchiale di San Pietro Apostolo, a Pirri, che aveva ereditato il culto della Santa. Si tratta di una chiesa di impianto tardo-gotico d’estrazione catalana, risalente alla prima metà del ‘600, con ampliamenti e trasformazioni barocchi operati nel Settecento, compresa la realizzazione della cripta nel 1777, sino ai rifacimenti ottocenteschi. Ida Farci ci fa conoscere anche la committenza e gli autori di alcuni arredi della chiesa, come lo scomparso altare ligneo (1676) per la cappella di San Pietro, opera del caxer y fuster Iosef Ravena e dello scultore Sadorro Lochy, e il pregevole altare maggiore in marmi policromi dedicato al Santo titolare, eseguito a Cagliari dal comasco Domenico Andrea Spazzi nel 1748.

Di particolare interesse gli arredi più antichi appartenenti alla primitiva chiesa di San Pietro Apostolo, risalenti alla prima meta del Cinquecento, come i due dipinti a tempera ed olio su tavola raffiguranti il Matrimonio mistico di Santa Caterina, opera del pittore stampacino Michele Cavaro, e la Madonna e San Giovanni ai piedi della Croce, attribuito ad Antioco Mainas, di cui ha trattato Lucia Siddi. Fra i diversi simulacri lignei conservati nella stessa chiesa, risalenti ad un periodo che va dal tardo Cinquecento alla fine dell’Ottocento, meritano, poi, attenzione quelli dedicati all’iconografia mariana ed in particolare il simulacro di Santa Maria Chiara, attribuibile al XVII secolo, oggetto di gran devozione, come dimostrano i numerosi gioielli donati dai fedeli. Un culto assai radicato nella tradizione popolare, quello di Santa Maria Chiara, come ha ricordato Carlo Pillai, che ha individuato negli archivi di Cagliari molti documenti, specie a partire dall’epoca sabauda, sull’organizzazione della festa più importante di Pirri, alla quale erano soliti partecipare anche numerosi cagliaritani, senza escludere la presenza di sovrani e principi della Casa Reale di Savoia.

Dei dipinti provenienti dalla chiesa di Santa Maria Chiara ha trattato Alessandra Pasolini, che ha riferito di un recente intervento di restauro attraverso il quale è stato possibile recuperare un dipinto su tela rappresentante una Sacra Famiglia, noto con il titolo di Madonna del Silenzio, oggi conservato nella chiesa di San Carlo Borromeo di Cagliari, ma in origine custodito, appunto, nella chiesa di Santa Maria Chiara. L’opera, di derivazione raffaellesca, sulla base di ricerche d’archivio e di confronti iconografici, è stata ricondotta nell’ambito della pittura devozionale legata ai dettami della Controriforma, la cui diffusione si è potuta verificare anche in ambito sardo e iberico.

Non mancano notizie sul sito di Monte Claro per i secoli XVI-XIX, ricordate da Adriana Gallistru, quando il territorio, coltivato a vigneti, orti e frutteti, vide la presenza dei Gesuiti, che avevano acquisito un appezzamento in quest’area alla fine del ‘500, e la successiva formazione dei patrimoni immobiliari di don Vincenzo Otger e di Giovanni Maria Angioy, che fu giudice della Reale Udienza a alternos del viceré nel 1796. A questi si affianco la vigna del conte Mossa, ubicata in territorio di Pirri, rimasta celebre come esempio del dinamismo che caratterizzo la nuova imprenditorialità agricola, dai tratti tradizionali e insieme aristocratici, in relazione alle vigne del circondario di Cagliari tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. Il conte Mossa, ha ricordato Giovanna Deidda, fu uno dei più prestigiosi vinificatori della seconda metà dell’Ottocento, che cerco di modernizzare la viticultura sarda introducendo nuovi macchinari, sperimentando nuove tecniche di vinificazione e contribuendo anche al riordino fondiario della zona.

Un nuovo capitolo per Monte Claro, ha riferito Anna Castellino, si aprì nel 1892, quando la Provincia di Cagliari prese in affitto per i degenti tranquilli una tenuta con un edificio annesso, detto Villa Clara, in quanto situato sulla sommità del colle di Monte Claro, ed insieme alcuni fabbricati nell’adiacente località di ls Stelladas. Così, mente a Sassari veniva costruito il Rizzeddu per i pazienti psichiatrici della Sardegna settentrionale, a Cagliari la Provincia progettava il nuovo ospedale psichiatrico, organizzato secondo una tipologia detta a villaggio, ossia a padiglioni staccati, secondo un modello diffuso nei manicomi europei. L’antica Villa Clara fu destinata a residenza del direttore e della sua famiglia, mentre i rustici furono adattati a stalle, magazzini e alloggi della colonia agricola, predisposta per consentire la terapia del lavoro ai degenti validi, ma anche per garantire il sostentamento autonomo del manicomio. La colonia comprendeva un mandorleto, un frutteto, una vigna e vari campi coltivati a legumi e ortaggi che garantivano l’alimentazione dei degenti ed erano anche fonte di discreti ricavi, attraverso la loro vendita fatta ai medici e ai dipendenti dell’ospedale, ma anche a persone esterne. La legge Basaglia del 1978 impose la chiusura degli ospedali psichiatrici, ma Villa Clara continuo a funzionare per chi vi si trovava già ricoverato.

Era il 18 marzo 1998 quando il suo grande cancello si chiuse alle spalle degli ultimi ospiti, che si allontanarono per sempre dal manicomio, smarriti e increduli, alla volta delle case protette che li avrebbero ospitati.

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