Atti del convegno Le Genti di Monte Claro • Dal Neolitico al Ventunesimo secolo
Rossana Martorelli
Insediamenti di età medievale: la villa di Santa Maria de Claro [1]
L’area di Monte Claro, delimitata dalle vie Liguria, S. Mattei, D.G. Cadello, dei Valenzani, F. Ciusa e Romagna, oggi inserita appieno nel tessuto urbano della città di Cagliari e di recente oggetto di una risistemazione come parco pubblico, è rimasta sempre uno spazio verde, non urbanizzato nel corso dei secoli. Infatti, a parte alcune forme di occupazione in età protostorica, attestate dal rinvenimento di sepolture che contenevano numerosi oggetti di corredo, caratterizzati da una specifica connotazione tipologica e morfologica, che diede origine alla cd. “cultura di Monte Claro” [2], il monte si collocava nell’entroterra già rispetto alla Karalis fenicio-punica, romana ed altomedievale, poi ancora alla città pisana di Castel di Castro, a Nord-Est del centro abitato [3].
La zona interessata più precisamente dal tema di questo contributo, in realtà, si trova fra il Monte Claro e il Colle di San Michele, compresa fra il quartiere di Is Merrionis e il municipio di Pirri. Forse percorsa da qualche via che in ogni epoca dalle mura urbiche si dirigeva verso la pianura campidanese, attraversando il territorio dell’attuale Pirri, doveva avere – come in generale tutte le zone circostanti il centro urbano – una connotazione rurale, caratterizzata dalla presenza di ville, o piccoli insediamenti, fulcro di attività di tipo agricolo-pastorale, che fornivano alla città prodotti per il fabbisogno interno e per l’esportazione attraverso il suo porto [4].
Tale connotazione rimase fino all’età moderna, quando nella prima carta di Cagliari, disegnata da Sigismondo Arquer attorno alla metà del Cinquecento, la città appare circondata da appezzamenti di terreni coltivati. Dunque, anche durante il medioevo, tali aree erano presumibilmente popolate di piccoli insediamenti, che spesso venivano ceduti a comunità religiose, monastiche, dedite proprio della coltivazione dei campi [5].
Con la conquista catalano aragonese della città, nel 1327, il Monte Claro venne compreso all’interno della fascia che da Decimo a Capo S. Elia andava a ricadere sotto la giurisdizione della città stessa[6].
Precedentemente all’arrivo dei nuovi dominatori, nel 1315, risulta nominata per la prima volta – stando alle attuali conoscenze – una Santa Maria de Claro, in un documento in cui si certificava il pagamento di trenta libbre di denari aquilini a Naddo Armalei, esattore del Comune, per alcuni abitanti di Cagliari, delle sue appendici, degli Orta e della suddetta Santa Maria de Claro [7].
Da questo momento altri atti menzionano una Santa Maria de Claro, che compare come S. Maria de monte Claro in una carta inserita nel Compartment del 1335, mentre nella forma abbreviata Santa Maria de Claro è ricordata con altre sei ville nel Componiment Nou (datato allo stesso anno 1335), che contiene una lista di villae passibili di tasse [8].
Nel 1339 i suoi terreni venivano descritti come adibiti a pascolo e collocati vicino al salto di Santa Gilla [9]. La villa è sempre ubicata nella Curatoria di Cagliari, ad eccezione di un documento del 1339 cui è indicata in quella di Decimo [10].
Un’ordinanza registrata nelle Ordinazioni dei Consiglieri di Cagliari (al cap. 25, che rientra nel primo blocco di disposizioni, emanate dagli inizi della dominazione catalano-aragonese fino al 1347), vieta agli abitanti della città la caccia ai colombi nell’area delimitata dal Colle di Bonaria fino a Montevolpino (attuale Monte Urpinu), poi da Montevolpino sino a Santa Maria de Claro e da qui fino al Mas di Monich Satria e a San Giorgio, includendo orti e terreni, al di qua dei confini suddetti, sotto la minaccia del pagamento di dieci soldi o, nell’impossibilità di assolvere a tale pagamento, di due giorni in prigione [11].
Nel 1348 una catastrofe demografica colpì Cagliari, dovuta solo in parte all’ondata di peste [12], e causò lo spopolamento dei piccoli centri.
Tuttavia, nel 1349-51 la villa di Santa Maria de Claro doveva essere ancora abitata, dato che era fra i feudi di Francesco di San Clemente [13].
Membro della famiglia catalana dei Sant Climent (o Clement), feudatari di tante ville nel cagliaritano, fedele consigliere di Pietro IV, luogotenente del governatore, è nominato diverse volte nei documenti risalenti alla metà del XIV secolo, in quanto a lui i giurati di alcune ville dovevano pagare un dazio [14].
Con la dominazione aragonese, molti territori e beni ecclesiastici, già pesantemente saccheggiati dai Pisani e dai Genovesi, a poco a poco vennero alienati, ovvero assegnati in feudo a persone molto vicine al re, applicando in Sardegna il sistema di feudalesimo già sperimentato con positivi risultati nei territori della Corona d’Aragona, con il quale si mirava da un lato al controllo militare, dall’altro alla gestione dell’economia locale, al fine ultimo di mantenere salde le conquiste.
Sembra che questo procedimento sia stato applicato già all’indomani della conquista, tanto che il Giudice Ugone II di Arborea disse che i sardi pensavano che con gli Aragonesi avrebbero avuto un solo re ed invece si ritrovavano ad avere tanti re quante erano le ville del cagliaritano [15].
Nel 1355, invece, non risulta fra i villaggi della Curatoria di Cagliari rappresentati al I Parlamento sardo, voluto da Pietro IV d’Aragona [16], segno forse del fatto che si trattava di un piccolo insediamento, che come altri contribuiva al rifornimento della capitale per quanto riguardava i prodotti aro-pastorali, ma che non era economicamente fra i più importanti [17].
Nel 1358 la villa è detta fatiscente [18]. Nel 1385 molte terre passarono alla città di Cagliari e nel 1397 il re Martino concesse all’Università di Cagliari il territorio della villa, insieme a Pirri, San Vetrano e Sant’Elia, da sfruttare per il pascolo [19].
Una carta del 1442 riferisce che Antonio Pol lego alla cappella di San Pietro in San Domenico “molti censi e 25 possessioni site intorno alla chiesa di Santa Maria Clara e a San Nicolò di Vidrano [20], romitaggi uniti alla parrocchiale di Pirri” [21].
Il 26 novembre 1463 Antoni Qleina ottenne dalla corte regia alcune terre ubicate in Santa Maria de Claro “cum mollonibus sive mollons Castrì Sancti Michaelis” [22].
Nel 1562, poco prima che il Fara scrivesse, Filippo II di Spagna decretò che Cagliari mettesse a disposizione dei Padri Mercedari che risiedevano nel Convento di Bonaria tre romitaggi, tra cui quello di Santa Maria Chiara [23].
Sulla base di queste poche antiche notizie si è generata tuttavia una ricca letteratura in tempi moderni, fin dal Cinquecento, quando J.F. Fara nel De rebus sardois, nell’elenco dei feudatari sardi che avevano reso omaggio alla Corona d’Aragona negli anni attorno alla metà del XIV secolo, annoverava Franciscus Sancti Clementis, signore di diversi feudi, tra cui l’oppidum (villaggio) di Sancta Maria de Claro nella curatoria del Campidano [24]. Sembra che il Fara desumesse queste informazioni da Ierónimo Zurita y Castro (Saragozza, 1512 – Saragozza, 3 novembre 1580), storico spagnolo, cronista ufficiale del Regno di Aragona, che scrisse gli Anales de la corona de Aragon, il cui primo tomo era apparso nel 1562 e l’ultimo a Saragozza il 22 aprile 1580. In Sardiniae Chorographiam egli stesso riferiva invece dello “scomparso” paese di Santa Maria de Claro [25].
Tra il 1604 e il 1607 alcuni inventari ricordano il trasferimento di arredi della chiesa di Santa Maria de Claro e di robas della statua nella chiesa di San Pietro, oggi parrocchiale di Pirri, perché evidentemente l’edificio originario non era molto frequentato. Risulta in questa circostanza menzionata per la prima volta una statua di Maria [26], in legno policromo scolpito e dipinto, secondo una maniera artistica tipica del XVII e XVIII secolo in Sardegna per le statue processionali, quindi ascrivibile al periodo della dominazione spagnola, ad un’epoca anteriore agli inizi del ‘600 [27].
Secondo D. Bonfant [28] il villaggio sarebbe stato distrutto nel 1582 dai barbareschi. Egli, insieme al Vico [29] e all’Aleo [30], per la prima volta afferma che in località Santa Maria Clara era una comunità monastica cistercense.
Fra il 1698 e il 1701 la Causa pia relativa a San Pietro a Pirri dispose spese per il restauro e l’abbellimento della chiesa di Santa Maria Chiara in occasione della visita del vescovo nel 1700-1701 [31]. Dal 1718 al 1732 furono effettuate spese minori di manutenzione [32], mentre tra il 1732 e il 1809 non risulta più alcun contributo finanziario [33].
Un documento senza data ma scritto in una grafia settecentesca citava una iglesia di Santa Maria ruràl, descrivendola come una chiesa profanata, situata in Pirri, nella diocesi di Cagliari [34].
Sempre al Settecento risale la costruzione della campana proveniente da S. Rosalia, in Cagliari, conservata ora nel municipio di Pirri, che reca la scritta 1775 Santa Maria de Claro [35]. Alla fine del secolo, in occasione della festa, che comunque manteneva come fulcro la chiesa, scoppiò un tumulto e per questo si decise di abbandonarla, fatto che ne segnò la definitiva decadenza [36].
Nel 1809, con una spesa di 164 lire, 3 soldi e 6 denari, Santa Maria Clara venne smantellata e le sue pietre trasportate a San Pietro a Pirri [37].
Gli studiosi descrivono “conci squadrati alla maniera cistercense”, chiedendosi se fossero stati utilizzati nella nuova chiesa semplicemente come materiale da costruzione o per il loro valore simbolico, ovvero per mantenere in qualche modo un legame con la chiesa antica [38]. Nella chiesa si conserva un capitello antico [39]. La chiesa attuale di Pirri, all’entrata, sotto la base della colonnina di sinistra del portale di accesso, mostra un blocco parallelepipedo, che potrebbe riferirsi a quanto tramandato. Nel 1810, pero, anche San Nicolò di Vidrano venne smantellato e le sue pietre furono ugualmente trasferite a Pirri [40]. Molti altri tentativi di restauro furono effettuati tra 1810 e 1856, quando venne composto un panegirico in onore di una santa Maria Chiara, una santa che di fatto non esiste [41].
La storiografia ufficiale dell’Ottocento, in pieno clima romantico, ripercorse la strada della appartenenza all’ordine cistercense. Giuseppe Manno, elencando i monasteri presenti nel Medioevo a Cagliari e nei dintorni, riferiva: “Altro al piè dello stesso colle di monaci di Chiaravalle, nel luogo detto poscia S. Maria Clara” [42]. Vittorio Angius, negli stessi anni, menzionando i cenobi ubicati nei dintorni di Cagliari, ricordava un monastero di Santa Maria de Claro “a piè di detto castello [ovvero del castello di S. Michele] verso greco dove abitavano monaci di Chiaravalle, altro di S. Maria delle vigne tra Cagliari e Pirri, dove erano monaci camaldolesi [43], ma non specificava se ai suoi tempi potesse ancora vederne le vestigia. Secondo Contu, all’epoca ancora rimanevano in piedi parti del monastero, ma l’Angius non specifica quanto ancora fosse visibile, dopo le demolizioni del 1809, registrate in un documento nel quale si precisa la spesa sostenuta per i lavori [44].
Il Martini, nell’opera storica scritta anteriormente alla scoperta delle False Pergamene di Arborea, diceva che i monaci di Chiaravalle avevano un possedimento alle falde del Colle di San Michele, dove si formò un romitorio col titolo di Santa Maria Clara, che esisteva ancora ai tempi dell’Aleo. La poca distanza fra i due monasteri (San Michele e Santa Maria Clara) alle falde della stessa collina sarebbe stata – secondo lo storico – la dimostrazione che appartenevano ad ordini con regole diverse [45].
G. Spano ubica la chiesa alle falde del Colle di San Michele e parla di un romitorio dei monaci di Chiaravalle [46].
Il generale A. Della Marmora, alcuni decenni dopo, precisamente nel 1860, descrivendo sia il castello di San Michele che il paese di Pirri non menzionava questo antico villaggio, sebbene si soffermasse a narrare della festa principale, dedicata a Santa Maria Chiara, denominazione evidentemente frutto di una trasformazione nel tempo derivata dal toponimo Santa Maria de Claro [47].
L. Lobina riferisce che nel 1852 scoppiò una rissa fra gli abitanti di Pirri, Quartu Sant’Elena e Cagliari durante la festa, ragione per cui in quell’occasione la statua fu trasportata nella chiesa di San Pietro [48].
In tempi più recenti, R. Delogu la inseriva fra le chiese legate ai monaci cistercensi, poi distrutte [49]. J. Day menziona la villa fra le migliaia censite in Sardegna [50].
F. Segni Pulvirenti e C.A. Borghi nel 1988 hanno dedicato uno studio alla chiesa e al sito, in relazione al problema della presenza dei Cistercensi. Due domande si sono posti nel loro lavoro, che è stato assunto come punto di partenza nel presente contributo e a cui ricercherà di rispondere: i Cistercensi a Villa Clara? Quali strutture sono da identificare con Santa Maria de Claro? [51].
D. Filia, ricordando quando nel 1562 Filippo Il invitò la città di Cagliari a mettere a disposizione dei Carmelitani della Catalogna (e non dei Mercedari), spogliati dei loro possedimenti dai Luterani Francesi di Provenza e di Linguadoca, qualcuno dei conventi abbandonati, menziona fra questi Santa Maria Chiara [52].
La Villa di Santa Maria de Claro viene nominata per ricordare le origini della festa di Santa Chiara nello studio sui santi della Sardegna di A.F. Spada [53].
R. Turtas lamenta l’assenza di una documentazione congrua, assenza che non permette di recuperare documenti sicuri in merito alla diffusione dell’Ordine Cistercense in Sardegna, che sembra introdotto dal ben noto episodio dell’incontro fra il giudice di Torres Gonario (1129 / 30-1154), di ritorno dalla visita del Santo Sepolcro a Gerusalemme, e Bernardo di Chiaravalle, avvenuto nel 1148 in Puglia, che si sarebbe concluso con la richiesta del giudice di avere nel suo regno un monastero cistercense. La richiesta fu esaudita dal santo, che l’anno seguente si dice abbia inviato nell’isola centocinquanta monaci e cinquanta conversi, cosicché il giudice poté fondare Santa. Maria de Cabuabbas a Sindia. A parte queste notizie, certamente infarcite di dettagli fantasiosi nel Libellus iudicum Turritanorum, ma che comunque sono in buona parte attendibili, per il resto non si hanno prove sicure per le altre presunte fondazioni. Fra i monasteri nomina anche Santa Maria di Claro, rifacendosi alla testimonianza di M. Lai, basata sul Monasticon Sardiniae, ma ben poco convinto dell’attribuzione all’ordine cistercense [54].
M.B. Urban nel suo studio sulla Cagliari del Trecento e del Quattrocento, denso di documenti ed informazioni inedite, cita due volte la villa di Santa Maria Clara, riportando testimonianze sconosciute, di cui la prima, datata al 1315, anticipa la cronologia nota sull’insediamento [55].
F.C. Casula inserisce la chiesa nel Dizionario Storico Sardo, come relativa ad un abitato scomparso, di origini verosimilmente bizantine, ubicato ai piedi del colle di San Michele, fra Cagliari e Pirri, sorto per attrazione del monastero cistercense [56].
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