Scritture Le forme di comunicazione
10 Scritture artificiali e inventate
3. Caratteri perfetti e linguaggi universali
Le pasigrafie, scritture universali
C’è un altro modo per creare una scrittura artificiale: consiste nello sfidare tutte le tradizioni grafiche precedenti, proponendo un modello la cui razionalità e la cui perfezione derivano proprio dal non essere ricalcato su alcuna struttura nota.
Tentativi di questo tipo ne sono stati fatti molti, fino all’Ottocento.
Athanasius Kircher, nel 1663, aveva proposto una scrittura piuttosto macchinosa (e in sostanza del tutto inutile), realizzata con cifre arabe e numeri romani, con la quale si sarebbero potute trascrivere tutte le lingue: per decifrare un qualunque testo, sarebbe bastato avere il dizionario appropriato.
Questa scrittura si basava sull’idea (del tutto erronea) che tutte le lingue avessero strutture simili e fossero riconducibili al latino.
Negli stessi anni, Joachim Bechet aveva costruito un altro complicato sistema, interessante per il curioso aspetto grafico della notazione.
La classificazione lessicale e grammaticale di ogni parola veniva indicata per mezzo di segni convenzionali, collocati ai lati e al centro di un segno a forma di spirale.
Ne risultavano dei segni composti in qualche modo simili all’immagine che ci si faceva allora dei caratteri cinesi, e che avrebbero dovuto prendere il posto delle cifre arabe, secondo Bechet non comprensibili a tutti.
Wilkins e i caratteri reali
Una lingua ‘universale’ del tutto inventata, creata totalmente a tavolino, è invece quella proposta dall’inglese John Wilkins nel 1668, nel libro Essay Towards a Real Character (Saggio per tua carattere reale).
Secondo Wilkins, sulla scia delle riflessioni di Bacone e Cartesio, il filosofo doveva riuscire, par tendo da principi razionali e uniformi, a costruire prima di tutto uno schema generale nel quale inquadrare in modo ordinato tutta la oonoscenza, e poi elaborare una grammatica, un insieme di procedure che permettesse di operare con le parole (ciascuna corrispondente a un elemento della realtà) e di crearne di nuove.
Questa grammatica poteva essere espressa solo con un’apposita scrittura, che per la sua natura stabile e permanente sarebbe stata più facilmente controllabile del linguaggio orale.
I caratteri che ne risultavano (chiamati ‘reali’ in contrapposizione a quelli usuali, astratti e arbitrari) sarebbero stati compresi da tutti, perché erano espressione diretta e razionale della natura delle cose, e non semplice trascrizione di una lingua imperfetta.
Wilkins costruì un’ingegnosa notazione (cui assegno anche una pronuncia, così che la sua lingua può ancora essere letta), che riusciva effettivamente a essere una rappresentazione efficiente: non certo della realtà, ma dell’idea che egli ne aveva.
L’ultimo tentativo
Il francese Joseph De Maimieux, ancora influenzato dal progetto di riorganizzazione del sapere dell’Encyclopédie, propose nel 1797 l’ultimo sistema ‘filosofico’ di scrittura, in un libro dal titolo piuttosto lungo ma che ben ne spiegava le intenzioni: Pasigrapbie, ou premiers éléments du nouvel art-science d’écrire et d’imprimer en une langue de manière à être lu et entendu dans toute autre langue sans traduction (Scrittura universale, o primi elementi della nuova arte-scienza per scrivere e stampare in una lingua in modo da essere letta e capita in ogni altra lingua senza traduzione).
Cerano solo 12 caratteri, che combinati cinque alla volta davano 248.832 parole, che anche qui (come per Wilkins) potevano essere lette verbalmente. Il sistema era in realtà un po’ laborioso, ma con esso De Maimieux riuscì a intrattenere rapporti epistolati e anche a scrivere poesie ‘pasirafiche’.
Un ricordo di questi utopici tentativi di classificazione del mondo può essere ritrovato nel sistema Dewey usato per la catalogazione dei libri nelle biblioteche, che ancora oggi si basa su un’analoga classificazione, universale e quindi arbitraria, di tutta la conoscenza.
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