Scritture Le forme di comunicazione
3 Scrittura cinese e giapponese
3. Il tracciamento e gli stili
Poetica calligrafica
“Segni dritti come aghi pendenti; punti tondi come gocce di rugiada; caratteri pesanti come nubi spesse, leggeri come ali di cicala”.
Queste parole di un trattato di calligrafia della dinastia T’ang (VIII-X sec. d.C.) documentano la particolare attenzione dedicata dai cinesi all’esecuzione grafica e ai suoi aspetti estetici ed emotivi.
Il rapporto fra la netta individualità dei singoli caratteri e la complessità e varietà delle forme che risultano dalla loro composizione ha trovato una sintesi nei canoni stilistici, che se da un lato stabiliscono le norme necessarie a garantire la riconoscibilità dei caratteri, clallialtro giustificano e promuovono la libertà creativa che è alla base della calligrafia, nel necessario equilibrio fra leggibilità e continuità estetica del testo nel suo insieme.
Il corpo della scrittura
La tecnica calligrafica si suddivide in due parti, relative al movimento del pennello e alla composizione dei caratteri.
I cinesi chiamano l’uso del pennello yonghi, ‘utilizzare il pennello’ o yunbi, ‘far scorrere il pennello’.
L’idea che soggiace a tale denominazione è che i numerosi tratti o ‘colpi’ prodotti con l’uso di questo strumento (il cui numero varia a seconda dei trattati di calligrafia e secondo alcuni arriva a un totale di 64 differenti tipi) non siano semplici elementi minimi, come quelli identificabili scomponendo il nostro alfabeto, ma forme plastiche alle quali si riconosce una corporeità spaziale spesso evocata in modo analogico.
Per un calligrafo di epoca Sung (X-XIII sec.), ad esempio, il pennello è composto da un ‘cuore’, da un ‘ventre’ e da un ‘dorso’; i vari tratti sono descritti come ‘dente di tigre’, ‘testa di tartaruga’, ‘fluire dell’acqua’, e vengono loro attribuite animisticamente le qualità delle Ossa (vigore), della Carne (spessore e luminosità del tocco), del Muscolo (giusto equilibrio fra Ossa e Carne) e del Sangue (quantità d’acqua contenuta nell’inchiostro, e suo colore).
Se il comune scrivente può limitarsi a padroneggiare l’intera varietà dei colpi di pennello possibili, il calligrafo è in grado di creare la migliore armonia possibile tra le diverse qualità dei caratteri.
Il ‘senso del corpo’ che ritroviamo nelle regole di tracciamento presiede anche alle modalità di composizione tra loro degli ideogramrni.
Ciascun carattere è come un essere vivente, un nucleo di energia che sintetizza simrnetrie e asimmetrie, strutture statiche e dinamiche, e le inscrive nel quadrato virtuale creato attorno al carattere stesso.
La forma di ciascun elemento sarà di conseguenza modificata perché esso si integri nell’insieme cli cui è parte, evitando rigide geornetrizzazioni e armonizando la densità relativa delle parti nell’asimmetria essenziale a distinguerle, in relazione alle funzioni linguistiche assunte.
Storia degli stili
Gli stili sono il risultato del lunghissimo processo di adattamento delle forme a differenti usi e supporti di scrittura, e la loro standardizzazione risale a epoche storiche successive.
I bronzi di epoca Zhou mostrano ancora una gran varietà di esecuzione, ma più tardi il calligrafo imperiale Chou fissò lo stile detto del ‘grande sigillo’), adottato e usato per secoli sino alla messa a punto, da parte dei primo ministro di un nuovo impero cinese unitario, nel III secolo d.C., del ‘piccolo sigillo’.
I primi due stili sigillati (chüan-shun) non si distaccano molto dalla forma della scrittura più antica, ed è solo con l’introduzione del cosiddetto ‘stile ufficiale’ (li-shu), in periodo Han (IV sec.), che i caratteri divengono più regolari e decorativi, mentre le linee curve e circolari presenti nelle forme arcaiche si trasformano nei tratti poliangolari e diritti che non cambieranno molto nelle evoluzioni successive.
Lo ‘stile regolare’ (k’ai-shu), contemporaneo dello ‘stile ufficiale’ e ancor oggi di uso comune, non differisce da quest’ultimo che per la semplificazione e la maggiore velocità nell’esecuzione del tratto, caratteristica accentuatasi nello ‘stile corsivo’ (hsing-shu), anch’esso diffusissimo ai nostri giorni, e sfociata nell’eliminazione definitiva di alcuni tratti dei caratteri, tipica dello ‘stile erba’ (ts’ao-shu).
Nello ‘stile erba’ la corsivizzazione esasperata origina caratteri simbolici elementari, che prendono il posto di quelli complessi trasformando lo stile dapprima in una ‘scrittura di scrittura”, quindi in un’arte astratta, coltivata dai calligrafi per le sue possibilità formali più che per l’intelligibilità dei testi, a volte illeggibili.
L’estetica della scrittura cinese, quasi paradossalmente, prescinde dal riferimento al contenuto espresso: per il calligrafo, il carattere è perfetto per la forma, se è bella e ben eseguita, e non per il modo in cui significa, un precetto che riporta in primo piano la qualità autoreferenziale dell’opera d’arte, e oscura quello rappresentativo della notazione scritta.
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