Scritture Le forme di comunicazione

 

4 Altre scritture asiatiche

1. Le origini

 

 Manoscritto in lingua e caratteri malayalam (Indonesia), su foglie di palma, con copertine di legno e legatura a ventaglio. L'uso di foglie di palma come materiale per scrivere è tipico dell'lndia meridionale e di gran parte del Sudest asiatico. Il testo, scritto nel sec. XIX, è un trattato di medicina. Collez. privata; foto G. Peyrot


Manoscritto in lingua e caratteri malayalam (Indonesia), su foglie di palma, con copertine di legno e legatura a ventaglio. L’uso di foglie di palma come materiale per scrivere è tipico dell’lndia meridionale e di gran parte del Sudest asiatico. Il testo, scritto nel sec. XIX, è un trattato di medicina.
Collez. privata; foto G. Peyrot

L’India, il Sud-est asiatico e le pittografie
Le grandi civiltà della scrittura che fiorirono in India per giungere sino al Sud-est asiatico – dove la loro egemonia fu contesa dalla penetrazione della cultura cinese – sono in genere considerate un ramo secondario del millenario sviluppo che nel Vicino Oriente avrebbe portato alla nascita degli alfabeti: la conferma la si ritrova nei termini per ‘scrittura’ e ‘sigillo’ dell’indiano antico, riconducibili entrambi a parole di origine semitica.
Ci sono però tre casi, distanti tra loro diversi millenni, in cui la presenza del segno pittografico accanto a quello schematico e lineare costituisce una prova dell’onnipresenza, alle origini dei sistemi di notazione del linguaggio, di una tendenza alla raffigurazione, spesso coesistente con quella alla linearizzazione e alla geometrizzazione.
Si tratta della scrittura della valle dell’lndo, ancora indecifrata, della scrittura magica di tipo pitto-ideografico dei Nakhi, stanziati da circa un millennio nella regione cinese dello Yunnan, e della scrittura dei Lolo, o Yi, nella Cina meridionale.
Queste tre tradizioni, tipologicamente e graficamente molto distanti da quella indiano-aramaica, sono state oggetto di ardite speculazioni, tese a riconnetterle alle famiglie di scritture più note.

 

Sistemi grafici originari
L’ansia di riannodare le fila della storia, però, ha distolto l’attenzione dalle peculiari caratteristiche di queste scritture.
Sui sigilli della valle dell’Indo, ad esempio, la presenza delle figurazioni animali accanto a singole “linee” di scrittura non ha certo una funzione decorativa, ma risponde al complesso gioco di integrazione tra immagine e disegno su cui si basa la struttura di moltissime notazioni. La decifrazione, quindi, andrebbe affrontata forse con una più attenta indagine sulle funzioni del sistema grafico, identificando il significato pittorico dei segni più astratti, ai fini di una comprensione dei loro significato linguistico.
Anche i tentativi di individuare linee evolutive nella scrittura nakhi, distinguendo un “primitivo” stadio pittografico cui sarebbero seguiti gli stadi sillabico e fonetico, sono destinati a fallire dinanzi alla realtà sociolinguistica, che testimonia un ampio uso della pittografia ancora in anni recenti, difficilmente riducibile a un semplice ‘sussidio per la memoria’.

Sigillo della valle dell'Indo che rappresenta un toro, con una linea di testo ìndecifrata; proviene da Mohenjo-daro, nell'attuale Pakistan (circa 2500-2000 a.C.) Museo Nazionale, Janpath, New Delhi

Sigillo della valle dell’Indo che rappresenta un toro, con una linea di testo indecifrata; proviene da Mohenjo-daro, nell’attuale Pakistan
(circa 2500-2000 a.C.)
Museo Nazionale, Janpath, New Delhi

Il fatto, infine, che il sistema Lolo venga a volte descritto come pittografico (per giustificare l’enorme numero di caratteri, ridotti a circa 800 solo dopo l’ultima riforma del 1975) e a volte come siilabico (nel quale la corrispondenza tra sillabe e caratteri sarebbe assai poco funzionale, perché non farebbe uso di alcuna regola di economia grafica né di segni diacritici), dimostra come si sappia ancora troppo poco circa i fattori che allontanano una scrittura dall’ideale di “massimo rendimento”.
Gli sciamani pimo, ad esempio, per secoli non si sono affatto preoccupati di unificare e standardizzate i loro segni scritti, ma ne hanno inventati continuamente di nuovi, complicati ed esoterìci, a testimonianza, nell’evoluzione dei sistemi grafico-espressivi, dell’importanza preponderante dei fattori culturali su quelli tecnici e funzionali.

 

Brahmi e kharoshti
L’India, sin dalla fine del IV secolo a.C., aveva sviluppato da modelli semitici due varietà di scrittura: la kharoshti e la brahmi.
La prima, la ‘scrittura di Kharoshta’ (‘Labbro d’asino’, soprannome di un personaggio della mitologia indiana), ebbe un certo sviluppo nell’antichità, per rimanere poi confinata a un uso regionale, e destinata infine a scomparire senza discendenti moderni.
La seconda, la ‘scrittura di Brahma’ (la divinità creatrice nell’induismo), adottata dai religiosi buddisti e riformata nel corso del IV sec. d.C. sotto la dinastia Gupta, divenne la base di tutti i successivi sviluppi, dando origine a oltre 200 moderne forme grafiche.
Alla brahmi sono riconducibili tutte le scritture in uso oggi in India, che servono a trascrivere lingue diversissime fra loro e che si ifferenziano stilisticamente dando luogo a un gran numero di varietà (circa 19, tra cui spiccano, per la loro caratterizzazione estetica, l’hindi, erede della devanagari usata per trascrivere il sanscrito, l’oriya, la kannada, la gurmukhi, la malayalam e la tamil), significative da un punto di vista sociolinguistico perché contribuiscono alla creazione di specifiche identità etniche e socìoculturali.

 

 Antica iscrizione commemorativa in lingua sanscrita e scrittura devanagari rinvenuta nei pressi di Jumla (Nepal) dallo studioso italiano Giuseppe Tucci. Istituto italiano per l'Africa e L'Oriente; foto Archivio G.Tucci, Roma


Antica iscrizione commemorativa in lingua sanscrita e scrittura devanagari rinvenuta nei pressi di Jumla (Nepal) dallo studioso italiano Giuseppe Tucci.
Istituto italiano per l’Africa e L’Oriente; foto Archivio G.Tucci, Roma

 

Mulino di preghiera tibetano (kor-lo) in rame sbalzato, con coperchio e cartiglio. L' iscrizione in stile lantsha trascrive la formula esoterlca om mani padne hum ('om, il gioiello del loto, hum), riportata ancora sulla lunga striscia di carta di riso che deve essere riposta all'interno. Oggetto di proprietà del Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico Luigi Pigorini, Roma; foto G.Peyrot

Mulino di preghiera tibetano (kor-lo) in rame sbalzato, con coperchio e cartiglio. L’iscrizione in stile lantsha trascrive la formula esoterica om mani padne hum (‘om, il gioiello del loto, hum), riportata ancora sulla lunga striscia di carta di riso che deve essere riposta all’interno.
Oggetto di proprietà del Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico Luigi Pigorini, Roma; foto G.Peyrot

 

Mani nella valle di Markha, nel Kashmir indiano. I mani sono pietre su cui sono state scolpire preghiere, in genere sutra (formule sacre) scritti in sanscrito. Contengono, in lingua tibetana, la formula om mani padne hum. Musée de I'Homme, Ladakh Tibetain n. 17.585, Paris; foto Mercier

Mani nella valle di Markha, nel Kashmir indiano. I mani sono pietre su cui sono state scolpire preghiere, in genere sutra (formule sacre) scritti in sanscrito. Contengono, in lingua tibetana, la formula om mani padne hum.
Musée de l’Homme, Ladakhi Tibetain n. 17.585, Paris; foto Mercier

 

Pagina di un manoscritto religioso nakhi in forma di libretto (Yunnan, Cina, fine del XIX sec.), con caratteri pitto-idcografici della scrittura tomba. I resti fanno riferimento a cerimonie di purificazione, e la loro lettura era affidata ai sacerdoti. Oggetto di proprietà del Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico Luigi Pígorini, Roma; foto G. Peyrot

Pagina di un manoscritto religioso nakhi in forma di libretto (Yunnan, Cina, fine del XIX sec.), con caratteri pitto-ideografici della scrittura tomba. I resti fanno riferimento a cerimonie di purificazione, e la loro lettura era affidata ai sacerdoti.
Oggetto di proprietà del Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico Luigi Pígorini, Roma; foto G. Peyrot

 

Sarvadurgatiparisodhana, manoscritto tibetano in lettere d'oro su fogli brunìtì; sui primi due fogli è applicato un velo di seta protettivo. Biblioteca dell'lstituto italiano per l'Africa e l'Oriente, fondo Tucci, Roma

Sarvadurgatiparisodhana, manoscritto tibetano in lettere d’oro su fogli brunìtì; sui primi due fogli è applicato un velo di seta protettivo.
Biblioteca dell’lstituto italiano per l’Afrìca e l’Oriente, fondo Tucci, Roma

 

Copia moderna di un trattato buddista in sanscrito e in scrittura devanagari, fatta realizzare da Giuseppe Tucci sulla base di un manoscritto antico. Biblioteca dell'Istituto italiano per l'Africa e L'Oriente, FGTV 1.266, Roma; foto G. Peyrot

Copia moderna di un trattato buddista in sanscrito e in scrittura devanagari, fatta realizzare da Giuseppe Tucci sulla base di un manoscritto antico.
Biblioteca dell’Istituto italiano per l’Africa e L’Oriente, FGTV 1.266, Roma; foto G. Peyrot

 

 

 

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