Scritture Le forme di comunicazione
Dal Vicino Oriente al Vecchio Mondo
4. Tradizioni circoscritte
Varianti locali dell’alfabeto
La storia della scrittura dimostra come nessuna comunità umana abbia mai ricevuto una nuova tecnologia senza in qualche modo farla propria.
È accaduto anche con l’alfabeto, arrivato nella nostra penisola con un modello di origine eubea (alternativo a quello di origine ionia che si sarebbe affermatoin Grecia) e poi diffuso ampiamente fra le varie etnie.
Dai modelli greci a quelli italici
Il modello alfabetico creato nelle scuole dell’Etruria su base ‘eubea’ ebbe ampia diffusione, dando origine a varietà locali ogniqualvolta comunità culturalmente forti tendevano ad organizzare un proprio sistema di scrittura.
Accanto all’etrusco con le sue specifiche innovazioni (il segno in forma di otto per trascrivere la ‘f’ e la sillabazione notata con punti), anche Veneti, Retici, Sabini, Latini, Umbri, Piceni e, più a sud, Osci e Messapi, nei secoli VI-V a.C. elaborarono specifici alfabeti su cui si basava la didattica della scrittura, modificandoli dove se ne presentava la necessità.
La diffusione di quella varietà latina che sarebbe poi diventata l’alfabeto romano e infine l’alfabeto tout court dovette essere, in quest’epoca e con una situazione politica estremamente fluida, assolutamente imprevedibile: ma alla fine del IV secolo, con la ‘cacciata’ della Z e l’introduzione della G (la Y e la Z sarebbero state reintrodotte soltanto cinque secoli più tardi), quella varietà grafica poneva la propria candidatura a una diffusione che la forza della cultura non bastava ad assicurate, e che sarebbe stata raggiunta con la forza delle armi.
Rune e Ogham: divinazione e imitazione
Sulla creazione ‘per stimolo’ degli originali alfabeti dei paesi germanici (le rune, create in Danimarca e poi diffusesi in Germania, Scandinavia e nelle isole britanniche a partire dal I sec. d.C.) e d’lrlanda (la scrittura ogamica, le cui prime iscrizioni sono databili tra il V e il VII secolo d.C.) non vi sono più dubbi: entrambi i sistemi rappresentarono la risposta nazionale ‘nordica’ all’alfabeto dei conquistatori romani.
Quel che affascina è il modo in cui questi simboli spigolosi, in origine incisi o graffiati proprio sui bastoncini delle ‘sorti’ divinatorie, hanno assorbito il principio alfabetico per poi rielaborarlo alla luce di una propria logica grafica e magica.
Così “l’ordine runico” del futhark – il nome dato alla notazione in base al suono dei primi sei simboli che lo compongono – consente di individuare tre gruppi omogenei o ‘famiglie’ di otto caratteri, ma non è fondato affatto sui valori fonetici assegnati a ciascun elemento.
Tuttavia questa divisione è usata spesso come punto di riferimento per costruire forme alternative delle stesse rune, basate su ‘analogie’ meramente grafiche interne a ciascun gruppo.
Allo stesso modo, la sequenza alfabetica ogamica organizza i segni in funzione della loro complessità grafica: i primi tre gruppi di cinque simboli sono composti da una serie di tacche verticali incise lungo uno spigolo della pietra (a destra: B, L, V, S, N; a sinistra: H, D, T, C, Q; diagonalmente: M, G, NG, Z, R), mentre l’ultimo gruppo rappresenta le vocali come tacche incise al centro della pietra stessa.
Questa singolare notazione, nata per essere incisa, fu sorprendentemente trasferita su manoscritti che erano veri e propri manuali di scrittura, resistendo come sistema funzionale sino al VII secolo d.C., quando l’Irlanda aveva già sviluppato una propria forma nazionale di scrittura latina, quella cosiddetta ‘insulare’.
© Città Metropolitana di Cagliari – Riproduzione vietata