Scritture Le forme di comunicazione
8 La scrittura araba
2. Caratteri, cifre e stili
Tipologia degli stili
È difficile districarsi nella selva degli stili e dei modelli di scrittura; la storiografia islamica, con la sistematica cura con la quale mette ordine nei proprio passato, tramanda i racconti di fondazione che personalizzano l’invenzione di ciascuno stile, identificando una fitta genealogia di calligrafi.
Si possono indicare sette stili maggiori, caratterizzati da una sorprendente continuità temporale e da una grande coerenza formale in diversi contesti socioculturali.
Lo stile kûfi è senza dubbio quello più venerabile e ieratico: già nella sua forma arcaica l’andamento omogeneo del tracciato delle lettere e l’assenza di segni diacritici ne rendevano difficile la lettura, e anche se l’influsso del morbido stile naskhi ne ha talvolta arrotondato le geometrie angolose e inclinato il ductus, esso è rimasto per secoli la scrittura coranica per eccellenza.
Il nome della varietà nota come naskhi deriva dal gesto corsivo e quasi stenografico con cui il copista ne tracciava le forme; è lo stile di scrittura più diffuso per la trascrizione della lingua turca e di quella persiana, e in Iran è servito da base allo sviluppo della calligrafia.
Da un ulteriore aumento di complessità dello stile naskhi nacque probabilmente il tuluth, spesso usato per le decorazioni in architettura, che in alcune regioni acquisì un valore augurale, in ambito magico-sacrale.
Distinto dalle varietà sin qui citate, perche più circoscritto geograficamente e più caratterizzato stilisticamente, è lo stile detto andalusi-maghribi.
Si tratta di uno stile tipicamente nordafricario, del Maghreb e dell’antica Spagna musulmana, derivato dal kûfi e usato prevalentemente per i manoscritti; le sue forme rotondeggianti sono facilmente riconoscibili. perché il tratto del calamo (la penna in canna utilizzata per scrivere) è mosso e quasi tremante, e i segni diacritici scompaiono quasi sempre nelle lettere finali.
Sebbene sia stata considerata dall’aristocrazia araba una scrittura ‘occidentale e selvaggia’, la popolarità dell’andalusi-maghribi si è accresciuta grazie all’apporto di calligrafi di eccezione come al-Qandûsi, vissuto nella prima metà del secolo scorso.
Di invenzione turca sono invece due stili più corsivi e notevolmente calligrafici: il diwâni è caratterizzato dall’arrotondamento e dall’obliquità del tratto, e talora viene arricchito da segni decorativi; il riqâ ha origine alla fine del XV secolo ed è una scrittura spessa, che riduce al minimo lo slancio verticale del tratto accentuando la rigidità del ductus orizzontale.
Infine vanno ricordati gli stili riconducibili al tâliq, finissima varietà calligrafica sviluppata in area persiana.
Il tâliq fu portato al massimo splendore con la nascita di uno stile misto: il nastâliq, creazione del calligrafo medievale Mir’Ali, che armonizza la corsività del naskhi e la grazia del tratto di spessore irregolare, prolungato nelle lettere finali, tipica del tâliq.
Scrittura usata per copiare opere persiane, il tâliq appare sia su manoscritti che su architetture e dà origine a ulteriori varietà: con lettere legate e molto ravvicinate o, al contrario, con lettere separate e ben individualizzate dal tratteggio spezzato, come il chikesté.
Il regalo indo-arabico
I numeri ‘arabi’, in realtà, sono una creazione indiana, che dalla scrittura brahmi si diffuse, oltre che verso Occidente, anche in tutto il Sud-est asiatico, con esiti formali assai diversi.
Tuttavia, è agli Arabi occidentali che dobbiamo l’introduzione nel Mediterraneo della notazione posizionale (quella che usiamo oggi), e delle cifre decimali in una forma grafica che essi chiamarono gubari, non molto diversa da quella attuale (al contrario della varietà hindi, sviluppatasi nell’Arabia orientale ed ancor oggi in uso).
Il ritardo della matematica europea (che impiegò molto più tempo ad abbandonare i vecchi sistemi di numerazione) su quella araba, alla fine del Medioevo, si spiega proprio con il fatto che gli Arabi avevano già adottato il nuovo sistema, molto più potente.
Un’interessante particolarità della notazione matematica araba è che essa ha mantenuto la direzione che aveva alle origini, da sinistra a destra (al contrario della scrittura).
Il precedente sistema, esteso in tutto il Mediterraneo, da quello semitico a quello greco e romano, di associare i numeri alle lettere e di utilizzare la notazione additiva (come quella dei numeri romani), era infatti più strettamente legato alla lingua e alla scrittura, e ne subiva tutte le evoluzioni e le trasformazioni.
Con la notazione posizionale, notevolmente più astratta, il sistema numerico tende a ‘separarsi’ dalla scrittura corrente e, poiché le operazioni matematiche rimangono immutabili, anche la notazione rimane stabile.
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